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Il caso Sea Watch verso la soluzione condivisa, ma la regia del premier Conte fa infuriare Salvini



«L'Unione europea rilascia i suoi 49 ostaggi». È con questa concisa nota che l'Ong Sea Watch ha annunciato l'epilogo dell'ennesimo dramma che si è consumato a largo del Mediterraneo. Troveranno un porto sicuro e un Paese pronto ad accoglierli i 49 migranti a bordo delle navi Sea Watch e Sea Eye della Ong tedesca, da diciannove giorni in balia del fuoco incrociato di mezza Ue, spaccata tra chi si spende per l'accoglienza e chi resta fermo nelle posizioni di chiusura. Decisiva, ai fini della risoluzione dell'impasse, la volontà di Malta di far sbarcare a La Valletta il carico umano di migranti dietro le pressioni della Commissione europea per l'immigrazione e quelle sempre più crescenti dell'opinione pubblica europea. La strada, come già accaduto più di una volta in estate, sarà quella della redistribuzione dei migranti tra quei famosi Paesi "volenterosi", precaria soluzione messa in atto in estate in Consiglio europeo in assenza di un vero e proprio accordo per la modifica del documento di Dublino. Oltre ai 49 delle due imbarcazioni, troveranno accoglienza in otto diverse nazioni europee anche altri 200 migranti salvati da Malta nei giorni scorsi. Di questi, circa sessanta a testa andranno in Olanda e Germania, mentre piccoli gruppi saranno ripartiti tra Lussemburgo, Francia, Romania, Portogallo, Irlanda ed Italia. Circa una quarantina quelli che invece resteranno proprio sull'isola che li ha strappati alle onde del Mediterraneo, mentre per 44 di loro provenienti dal Bangladesh la strada sarà quella del rimpatrio.

Esulta il Commissario per l'immigrazione Ue Dimitris Avramopoulos che ha affidato a Twitter il suo pensiero: «Sono felice che i nostri sforzi per far sbarcare i migranti a Malta abbiano portato risultati e che tutti coloro che sono a bordo vengono sbarcati adesso. Elogio Malta per avere consentito questo sbarco e gli Stati membri che hanno mostrato solidarietà attiva accettando i migranti». L'Europa tira dunque un sospiro di sollievo ma l'assenza di un piano strutturato per prevenire e risolvere in tempi brevi le criticità riguardanti l'immigrazione e l'accoglienza, lasciano in balia degli eventi i futuri episodi analoghi. E proprio su questo si è speso il premier maltese Jospeh Muscat, che vede nell'assenza di una strategia condivisa dai Paesi membri il vero tassello mancante sul puzzle della questione migratoria. «Durante il nostro impegno con la Commissione Ue per la risoluzione di questa crisi (dei 49 sulle navi di Sea Watch e Sea Eye ndr.), abbiamo ricordato a tutti che Malta ha salvato unilateralmente altre 249 persone in mare, le cui vite erano chiaramente in pericolo. Queste missioni sono avvenute in zone in cui Malta è responsabile: abbiamo allora sottolineato che non ha senso che un meccanismo di solidarietà ad hoc venga applicato solo nel caso in cui viene negato un porto sicuro, mentre quando gli Stati membri rispettano i loro obblighi vengono ignorati». Sempre alle solite, insomma. Nonostante a più riprese venga invocata dai protagonisti delle vicende politiche europee l'urgenza di una soluzione comune che soddisfi e tenga conto delle esigenze particolari di ciascuno Stato membro, emergenze come quella di Sea Watch continuano ad essere trattate singolarmente, caso per caso e ciò, oltre a costringere in mare per giorni e giorni un gran numero di esseri umani, tiene alta l'asticella dello scontro tra Paesi che invece di collaborare finiscono per riempire le colonne dei giornali di litigi e reciproci rimbrotti. Questa mattina il premier maltese ha ricevuto in visita a La Valletta il suo omologo libico Al Serraj in un incontro bilaterale promosso per tentare di delineare una linea comune, che oltre all'Europa tenga conto del Paese che detiene il record di partenze dal Nord Africa. «Siamo disponibili al dialogo ma dobbiamo valutare tutto passo dopo passo, abbiamo grossi problemi di stabilità politica», questa la dichiarazione fatta dal premier libico che ribadisce tra le pieghe del suo discorso come né Tripoli né alcun porto libico possa ancora ritenersi un luogo idoneo alla permanenza delle migliaia di persone che cercano fortuna lontano dall'Africa.


E se il caso si sgonfia su scala europea, in Italia la tensione non accenna a diminuire. A tenere banco è la spaccatura sempre più evidente, in termini di leadership e tenuta, in seno alla squadra di governo capitanata (almeno sulla carta) da Giuseppe Conte. Proprio ieri il premier dell'esecutivo "pentastellato" aveva rotto gli indugi dichiarando che, se necessario, avrebbe «mandato un aereo a prenderli», in riferimento alla necessità di mettere un punto alla vicenda che si consumava tra Bruxelles e le acque del Mediterraneo. Una frase rimasta ovviamente indigesta al fautore della politica dei porti chiusi, il Ministro degli Interni Matteo Salvini. Già nel corso della serata di ieri, il leader del Carroccio aveva espresso tutta la sua perplessità all'apertura di Conte riguardo il caso Sea Watch, sentenziando con l'ormai celebre «non cambio e non cambierò mai idea, un cedimento significherebbe riaprire le porte al traffico di esseri umani». Nemmeno la nottata sembra aver portato consiglio al vicepremier in quota leghista, abituato nei mesi scorsi a fare il bello e il cattivo tempo riguardo la questione immigrazione e non a suo agio nel dover rispondere alle direttive del suo premier democraticamente eletto. Dopo l'annuncio della ritrovata soluzione per l'ennesimo caso nel Mediterraneo, Salvini ha infatti tenuto il punto in tutto e per tutto e dichiarato che «otto o ottantotto migranti, io non autorizzo nessuno a entrare in Italia». In visita in Polonia al leader dell'ultradestra Jaroslaw Kaczynski, in virtù di un asse da consolidare in vista delle Europee, il vicepremier italiano ne ha fatto una questione di principio quando ha dichiarato che «ci si consulta prima di prendere decisioni come questa. Non capisco questa accelerazione di Conte. Io ho controllo sui porti, il ministro Toninelli può decidere solo sulle acque territoriali. Per me possono calarsi con il parapendio, arrivare in elicottero, non ho controllo sullo spazio aereo». La questione, questa volta più che mai, sembra appesa a un filo, così come la sopravvivenza dell'avventura governativa. Hanno infatti l'effetto di infiammare ancora di più quelli che per ora sono pettegolezzi da Transatlantico, le parole del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il factotum della Lega Giancarlo Giorgetti, secondo cui l'esecutivo «non è a rischio», ma «la vicenda non si può considerare risolta. Purtroppo – ha proseguito Giorgetti – valutando oggettivamente la situazione, questo è un incentivo per qualcun altro a partire e magari a morire. Non è un caso che non ci sia stato nessuno sbarco».

In attesa di un chiarimento "a tre" tra Salvini, Di Maio e Conte, protagonista del primo atto "autonomo" da premier, da qualche deputato leghista percepito addirittura come eversivo, il governo balla e traballa e i tempi in cui rimandare tutto al Contratto, tra sorrisi e strette di mano, sembrano un ricordo sospeso nel tempo.



di Alessandro Leproux

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