Mentre la crisi di governo tra Lega e 5Stelle sembra, ormai, alle porte, anche i rapporti tra Pd e M5S sembrano aver raggiunto uno dei punti più bassi di quello che viene definito – da entrambi i partiti – il “dialogo impossibile”. Oggi, durante la trasmissione In Mezz’ora, ospite di Lucia Annunziata, Luigi Di Maio ribadiva che con il Pd “non si può parlare: credevo fossero cambiati, dopo la fine di Renzi e la sconfitta elettorale, ma sono rimasti quelli di sempre, propongono il finanziamento pubblico ai partiti”.
Ma sui programmi economici sono tante le affinità
Ma è sui programmi economici e sociali che, invece, la convergenza tra Pd e M5S sembra sempre più fattibile. Le proposte in tema di economia e welfare sono state al centro di una riunione convocata dal segretario del Pd, con il coordinamento del partito, il presidente Paolo Gentiloni, i vicesegretari ed esponenti dei due gruppi parlamentari – tra i quali l’ex ministro Piercarlo Padoan per stendere le ‘contro-proposte’ dem alla prossima Legge di Bilancio. L'idea del segretario è di fare cinque proposte concrete, e con le relative coperture finanziarie, che possano innanzitutto far passare il Pd dalla fase di critica a proposte che diverranno la contro-manovra dem a quella di Conte.
I cinque punti del programma del Pd
I cinque punti sono incentrati su lavoro e welfare, così da qualificare le proposte in modo ‘progressista’. Nel pacchetto, ancora in fase di elaborazione, c’è una parte che riguarda il lavoro, con il taglio permanente del cuneo fiscale ai contratti a tempo determinato e altre misure compresa una forma di salario minimo. E cioè proprio una delle proposte clou su cui insistono i 5Stelle che hanno depositato una pdl sul salario minimo osteggiata dalla Lega. Un secondo punto riguarda gli investimenti, pubblici e privati, con il rilancio degli incentivi a Industria 4.0. Poi ci sono nuovi fondi per l’istruzione e per la sanità. Tutte misure che i 5Stelle potrebbero sottoscrivere senza patemi, per non dire delle “comuni battaglie” sui diritti civili.
Zingaretti punta alle urne a settembre
Il pacchetto dem tornerebbe anche buono nel caso in cui, dopo le Europee, ci fosse una rottura nella maggioranza e urne a settembre. Uno scenario che Nicola Zingaretti confida di ritenere possibile o probabile e che, anzi, di fatto, auspica. Proprio lo stallo decisionale potrebbe spingere l’opinione pubblica e molti centri decisionali, a partire dal Quirinale, a premere per la fine del governo giallo-verde con elezioni a settembre o al massimo a febbraio. E proprio Zingaretti avrebbe detto a Mattarella, in un colloquio informale di qualche settimana fa, che il Pd non darebbe mai l’assenso a un governo tecnico che faccia la manovra economica e che la sola ‘strada maestra’ è quella del ritorno alle urne. Insomma, chi pensa che il Pd possa dare il suo ‘via libera’ a un governo tecnico-istituzionale che poi si carichi una manovra ‘lacrime e sangue’ si illude: i dem non hanno dimenticato la ‘lezione’ imparata da Bersani quando questi si preparava a vincere le elezioni anticipate, a fine 2012, ma fu bloccato da Napolitano e costretto ad appoggiare il governo Monti. Risultato: esplosione dei 5Stelle nelle urne, impossibilità di governare per Bersani, sue dimissioni. Insomma, il Pd, come Forza Italia, non ci starà mai a dare vita a un governo tecnico. Non restano che il voto, convincimento che si fa largo, ormai, anche al Colle.
La discussa intervista di Delrio
Vero è, però, che una settimana fa, un’intervista del capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, ha fatto drizzare le antenne a molti. Certo, il titolo (“Delrio apre a Di Maio”) ambienti dem a Montecitorio lo hanno definito “assai forzato”, ma è subito girata aria di accordo Pd-M5S. Delrio rilanciava la proposta dem sul salario minimo (e non quella dell’M5S), riteneva possibile un’intesa sulla riduzione degli stipendi dei parlamentari, “se accettassero di discuterne seriamente”, e allargava il tema del conflitto di interessi alla “trasparenza di piattaforme informatiche”, un chiaro riferimento alla Casaleggio&Associati.
La risposta arrivata subito dal M5S è stata, anche in quel caso, di netta chiusura: “Le cinque proposte che per noi si devono approvare il prima possibile sono proposte che non abbiamo rivolto ad una forza politica di opposizione ma alla Lega”, diceva, in risposta a Delrio, sempre Di Maio. Il quale, oggi ospite a Skytg24, ha ribadito che “Il Pd è un condominio in continua lite, non sai con chi parlare, con Zingaretti doveva rinnovarsi, invece hanno proposto aumento degli stipendi dei parlamentari e la patrimoniale”.
Demonizzare le proposte dell’M5S non aiuta…
Anche il segretario dem, Zingaretti, ha provato subito a tacitare le illazioni di un dialogo che appare impossibile, ma è altrettanto implausibile pensare che Delrio non lo avesse informato, prima di dare l’intervista. Zingaretti, in realtà, pensa da tempo che non sia utile demonizzare a priori le proposte del M5S, specie se queste toccano corde sensibili anche per gli elettori del suo partito. Tanto per fare un esempio, attaccare il reddito di cittadinanza, come spesso fanno i renziani, finisce per colpire i cittadini che ne fanno richiesta più che i contenuti del provvedimento.
«Sul merito lo abbiamo sempre detto: le misure che sono utili al Paese vanno affrontate», puntualizza Andrea Orlando. Politicamente, però, aggiunge il vicesegretario in pectore, «non cambia niente. È una strategia pre-elettorale (quella degli avversari, ndr.) che neanche i bambini ci cascano». Ma la ‘cuperliana’ Barbara Pollastrini dice quello che pensa la sinistra del partito (oltre che, peraltro, l’intero gruppo dirigente di Mdp, a partire da Bersani): «Delrio ha pronunciato parole sagge e serie». La ‘manovra di avvicinamento’, dunque, forse, è già realmente iniziata.
Il fuoco di sbarramento dei renziani
I renziani, ovviamente, hanno alzato subito il fuoco di sbarramento. «I nostri elettori ci chiedono coerenza – dice la deputata ligure Raffaella Paita– non possiamo avere nulla a che fare con l’M5S». E il giachettiano Luciano Nobili ricorda: «Un anno fa fu Renzi a impedire il suicidio di un’alleanza con questi cialtroni. Oggi più che mai dobbiamo essergliene grati e ribadire che non andremo mai al governo con loro». Infine, sempre a La Stampa, la ex ministra Maria Elena Boschi dice: «Niente accordi di Palazzo. L’M5S ha fallito, cosa c’entriamo noi con questi incompetenti?».
Va ricordato anche che Matteo Renzi, sempre più silente, in questa fase, dispone di un drappello di senatori fedelissimi e bastevoli per stroncare sul nascere ogni ipotesi simile. Infatti, se al Senato la maggioranza gialloverde balla già sul filo dei numeri, una maggioranza Pd+M5S non avrebbe i numeri per governare proprio grazie alla ‘secessione’ di un pugno di renziani (sono almeno dieci), pronti a impedirlo.
Zingaretti vuole gruppi parlamentari ‘omogenei’
Inoltre, anche Zingaretti sa e vede che i grillini parlano, protestano, tuonano, ma poi votano tutti i provvedimenti cari alla Lega e che i segnali che pure arrivano dall’ala dei grillini ‘movimentisti’, che fanno capo al presidente della Camera Fico, non sono stati, finora, decisivi né concludenti. Zingaretti e i suoi, dunque, ribadiscono la loro linea: il governo giallo-verde si può superare ‘solo’ con le urne. Ma il motivo per cui Zingaretti punta tutto su elezioni politiche anticipate è, appunto, duplice: da un lato vuole avere gruppi parlamentari omogenei alla sua linea e che, a differenza di quelli attuali, accettino ogni sua proposta, dall’altro pensa sì a un dialogo con i 5Stelle ma ‘al prossimo giro’. Quando una maggioranza ‘alternativa’ a quella di un centrodestra che tornerà – questa la sua previsione – unito, potrebbe tornare utile, se non indispensabile, per battere, anche in Parlamento, oltre che nelle urne, le ‘destre’. Se ne parla, dunque, casomai, nella prossima legislatura.
di Ettore Maria Colombo
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