Il web è ormai diventato il terreno ideale per pescare notizie personali e fare un business vendendole. La piattaforma migliore per questo traffico di dati, come è facilmente intuibile, è Facebook. Il New York Times in un nuovo articolo accusa il social di Mark Zuckerberg, di aver permesso, per anni, a circa 150 aziende, comprese alcune di primissimo piano, di accedere ai dati dei suoi utenti. In questo modo le società avevano a disposizione informazioni utili per rendere più appetibili i loro prodotti e quindi avere maggior penetrazione tra i consumatori. Il quotidiano americano scrive che Facebook ha visto aumentare il numero dei propri user e soprattutto le entrate pubblicitarie.
In particolare il social di Zuckerberg avrebbe permesso al motore di ricerca di Microsoft, Bing, di accedere ai nomi degli amici degli utenti del social network senza alcuna autorizzazione. Netflix e Spotify, invece, sarebbero addirittura riusciti a leggere messaggi privati degli user. Ad Amazon, afferma il Nyt, sarebbe stato consentito di ottenere nominativi e altre informazioni.
Il quotidiano americano fa riferimento a un dossier che contiene documenti, elaborati all'interno di Facebook nel 2017, e interviste con circa 50 ex dipendenti. Non sarebbe stato rispettato l'accordo siglato nel 2011 con la Federal Trade Commission sul corretto trattamento dei dati personali per impedirne la condivisione senza autorizzazioni.
Steve Satterfield, responsabile del settore privacy e public policy di Facebook, ha ribadito alle accuse del NYT dicendo che non c’è stata violazione della privacy degli utenti. Poi spiega che il colosso social “sa di dover lavorare per riconquistare la fiducia delle persone. La protezione delle informazioni personali richiede team più forti, tecnologia migliore e policy più chiare. Su questo ci siamo concentrati per gran parte del 2018". Facebook, inoltre, non ha individuato alcun abuso attribuibile ai suoi partner, come ha spiegato una portavoce del social network. A seguito dell’inchiesta del NYT, Facebook ha messo sul suo blog un lungo post nel quale ribadisce che «Nessuna partnership ha dato alle compagnie un accesso ad informazioni senza l'autorizzazione delle persone». I partner, si spiega, «avevano bisogno dell'autorizzazione delle persone». Per gli utenti «era necessario accedere all'account di Facebook per usufruire delle integrazioni offerte» dalle aziende.
In virtù delle partnership, «le persone potevano accedere ai loro account Facebook o a specifiche funzionalità di Facebook su dispositivi e piattaforme costruiti da altre società come Apple, Amazon, Blackberry e Yahoo. Questi sono noti come 'integration partner'», spiega il social network. Netflix ha fatto sapere che ha cercato negli anni di essere più social. «Un esempio, è la funzione lanciata nel 2014 che permetteva agli utenti di suggerire serie e film ai loro amici di Facebook attraverso Messenger o Netflix. La funzione però non è stata popolare ed è stata eliminata nel 2015. In nessun momento abbiamo avuto accesso ai messaggi privati delle persone su Facebook o richiesto la possibilità di farlo».
Sulla questione è intervenuta anche l'associazione dei consumatori Altroconsumo che ha scritto al Garante per la protezione dati personali chiedendo di far sull'eventuale condivisione di dati, «Senza adeguata informazione verso i consumatori su modalità e finalità di utilizzo».
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