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Il numero dei poveri in Italia è più che raddoppiato nell'arco di un decennio, colpiti i minori



Era una sera del 25 settembre 2018 e assiso sul divanetto bianco di Porta a Porta un Luigi Di Maio ispiratissimo annunciava agli italiani: «noi, in maniera decisa, con questa manovra, con questa legge di bilancio, avremo abolito la povertà ». Gli italiani al conducator di Pomgliano d’Arco non è che gli diedero poi molto credito. Sui social si scatenarono subito ironia e sfottò a non finire. Ora che il reddito di cittadinanza è sulla rampa di lancio anche i più creduloni, quelli che si bevono come fosse acqua fresca la propaganda del Miniculpop pentaleghista, qualche dubbio cominciano a nutrirlo. Aspettano, è vero, il 15 aprile, data in cui a sentire l’Inps le prime Rdc card saranno caricate, ma hanno capito anche loro, i nostri concittadini più ingenui e in buona fede, che con la recessione che batte il tocco ogni santo giorno sarà grasso che cola se l’area della povertà non aumenterà. Anzi la povertà è già aumentata. Almeno a leggere il rapporto sulla povertà educativa minorile in Italia, “Scuole e asili per ricucire il Paese”, realizzato dall’Osservatorio povertà educativa #conibambini-Openpolis e presentato ieri a Roma al Centro congressi dell’Università “La Sapienza”.

Ad essere colpiti dalla povertà assoluta sono i più fragili, i minori. «Il numero di poveri assoluti, persone che non possono permettersi le spese minime per uno standard di vita decente, è più che raddoppiato nell’arco di un decennio. Nel 2005 il numero di persone in povertà assoluta era poco inferiore ai 2 milioni. Nei dodici anni successivi è cresciuto fino a raggiungere la quota di 5 milioni di persone».


E sono proprio i minori di 18 anni, che purtroppo per loro non votano, ad essere colpiti con più forza dalla povertà assoluta. Se, infatti «nel 2005 era assolutamente povero il 3,9% dei minori di 18 anni un decennio dopo la percentuale di bambini e adolescenti in povertà è triplicata, e attualmente supera il 12%». Bimbi, adolescenti, e poi ragazzi, che si vedono negato il diritto ad apprendere e a coltivare il proprio talento. Si è minori poveri se si hanno genitori poveri. Attenzione però alla facili equazioni, non è solo una questione di soldi, perché il risvolto drammatico del problema è in primo luogo educativo: le famiglie più povere sono quelle dove c’è una minore scolarizzazione. O, per dirla diversamente, gli squilibri sociali e le disuguaglianze economiche spesso affondano le radici proprio in un accesso diseguale all’istruzione. I dati di Openpolis mostrano come povertà economica e povertà educativa si alimentino a vicenda, perché la carenza di mezzi culturali e di reti sociali riduce anche le opportunità occupazionali.


Insomma, per capirci, non è con il tanto decantato reddito di cittadinanza che si “abolisce” la povertà. Consumati, bene o male, quei famosi 780 euro non cambierà nulla se non si rimette in moto l’ascensore sociale a partire dalle giovani generazioni. Come? Investendo sull’educazione, dall’asilo fino all’università, dicono i curatori del rapporto. I quali spiegano che «una discriminante fondamentale è l'accesso ai servizi essenziali e la loro qualità.

Ciò è ancora più vero per i bambini e gli adolescenti». Il fatto è che indirizzando il timone delle politiche sociali su un programma di contrasto alla povertà educativa non si può passare subito e facilmente all’incasso in termini di consenso elettorale. Fa più fico sbandierare la polpetta dei 780 euro che portare l’Italia a raggiungere l’obiettivo minimo indicato dall’Europa nel 2002, cioè quello di offrire posti per almeno il 33% dei bambini sotto i 3 anni negli asili nido. Rispetto a questo obiettivo l’Italia è ancora indietro e si ferma dieci punti sotto, al 23%. Il nostro paese è quello che investe di meno in istruzione. In rapporto al prodotto interno lordo, il Belpaese spende il 3,9% del pil, contro una media Ue del 4,7%. E se poi si va a scorporare il dato fra le aree del paese il quadro è ancor più desolante e vede il Sud fanalino di coda (per dire, le 5 regioni che offrono meno posti in asilo nido sono tutte del Mezzogiorno, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Campania).

Sarebbe ingeneroso e sciocco cercare nel governo pentaleghista il responsabile della povertà educativa. Parliamo di un problema che viene da lontano, almeno dal decennio che abbiamo alle spalle. Certo è che nelle politiche di questo governo non si coglie nessun segnale che vada nella direzione di una implementazione dei servizi ma tutto ha lo sguardo ristretto e sfocato del risultato a breve se non brevissimo raggio.


di Giampiero Cazzato

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