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Il parlamentare belga Cogolati: «Green pass non vuol dire discriminare, altrimenti siamo la Cina»


Samuel Cogolati, parlamentare belga e vice presidente della commissione esteri, in un’intervista a Spraynews, a margine dell’Ipac sulla Cina, tenutasi in occasione del G20, evidenzia come le discriminazioni sul green pass, applicate dal governo Draghi, in un certo senso sono simili a quelle applicate ogni giorno dal quello mandarino, riprendendo quanto sostenuto su queste colonne dal collega italiano di Fdi Lucio Malan. Allo stesso tempo, pur invitando l’Europa ad adottare ogni misura a disposizione contro il Covid, rispetto ai provvedimenti da applicare, sottolinea come ci sarebbe dovuta essere più unità nelle decisioni e nelle misure per frenare la pandemia.


E’ stato tra i protagonisti di questo meeting sulla Cina. Perché lo ritiene importante e ha partecipato all’iniziativa tenutasi ieri a Roma?


«Prima di tutto, voglio dire che i miei nonni sono italiani, sono emigrati in Belgio e quindi mi sento particolarmente legato a questo Paese. L’evento è molto importante perché è riuscito a mettere insieme i membri di ben 21 parlamenti, ma anche scrittori, attivisti e persone che si battono ogni giorno per i diritti dell’uomo e questo lo ritengo, oggi più che mai, basilare. Iniziative del genere dovrebbero ripetersi più spesso. I valori democratici, i diritti umani sono argomenti che non possono essere ignorati o sottovalutati dall’opinione pubblica».


In particolare il caso cinese, dove troppo spesso viene messo il bavaglio, fa riflettere…


«Quanto avviene in Cina non è certamente il massimo. Basta vedere come si comporta questa nazione con i paesi confinanti. Caso significativo è quello del Tibet o di Hong Kong, dove attivisti continuano a stare per giorni in prigione solo perché si battono per far valere i loro diritti. Lo stesso Taiwan, da parte dei suoi vicini, è vittima di qualcosa certamente non democratica».


Cosa l’Europa può fare a riguardo?


«Ci dovrebbe essere sempre più collaborazione in tal senso. Non ignorare più queste questioni. Ci è sembrata, pertanto, la riunione del G20, quando i grandi leader si riunivano, il momento giusto, per parlare di tutto ciò, sottolineare il caso cinese, che pur essendo una grande potenza, si distingue ancora per avere troppi soggetti perseguitati. Nei fatti lì non si può dire quello che si pensa».


Il suo collega italiano Malan, a margine dell’interparlamentare sulla Cina, ha paragonato in un certo senso la vicenda a quanto sta avvenendo nei porti italiani sul green pass…


«Ha ragione. Stiamo parlando di libertà individuali. Quando alle persone viene impedito di scegliere dei diritti non vengono rispettati. Non conosco bene cosa stia succedendo in Italia, ma certamente non si può dire alle persone cosa fare. La libertà deve essere sempre salvaguardata».


In questo senso si poteva fare più squadra?


«La libertà deve essere tutelata non solo in tutta Europa, ma nel pianeta. Non a caso stiamo parlando di insegnamenti e valori che mi sono stati tramandati dai miei nonni, che hanno origini italiane, pur essendo io oggi un parlamentare del Belgio. E’ chiaro che bisogna usare tutto quello che c’è a disposizione per contrastare il Covid, ma qualcosa si può certamente rivedere, come per esempio nel caso di chi va in un ristorante. Le discriminazioni non ci devono essere a prescindere. In Cina, ad esempio e qui ritorno alle similitudini che accennavo in precedenza, viene controllato l’accesso alle associazioni, ai negozi, alle stesse Chiese».


Quanto è importante l’educazione?


«Fondamentale. Il vero problema è che in Cina, certi modi di fare, vengono tramandati sin dalla prima infanzia. Ai bambini, subito, viene data una particolare tipologia di educazione».


In Cina, la stessa Chiesa, come sottolineato dagli attivisti che hanno partecipato alla conferenza, avrebbe diversi problemi. E’ così?


«Ci sono limitazioni reali e abusi nei confronti della libertà religiosa. Non sono solo contro i cristiani, ma verso i buddisti e altre minoranze. Non a caso molti uomini e donne solo perché professano una determinata fede, hanno dovuto subire minacce e attacchi alle proprie attività. Le persone, in tutto il mondo si dovrebbero sentire libere di professare la propria fede o andare nella Chiesa che preferiscono».


Di Edoardo Sirignano

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