L’ubriacatura da volontà popolare non è solamente una prerogativa di ‘canaglieria politica’ brasiliana, presentandosi, ad ogni latitudine, ogni qual volta il discorso politico comincia a prendere una piega, anche solo minimamente, populista.
Il Brasile che si avvicina al 2022 e di qui alle prossime presidenziali è un Paese non soltanto messo in ginocchio dal Covid-19 e da una crisi economica, che sta lasciando letteralmente senza cibo milioni di famiglie, ma, forse più di tutto, è un Paese che vive uno stato confusionale, pressoché completo, con riferimento alla sua stessa organizzazione e divisione dei poteri.
Si potrebbe dire che il Brasile-a-non-guida-Bolsonaro rappresenta oggi una sorta di laboratorio politico mondiale, entro il quale il rispetto della Costituzione del 1988 sembra costituire, da parte dell’Esecutivo e dei suoi rappresentanti al Congresso, un autentico impedimento al pieno dispiegamento della realizzazione del programma populista che Bolsonaro & Co. perseguono sin dal loro insediamento al potere.
Il bolsonarismo, infatti, si comporta esattamente in questo modo nei confronti delle istituzioni, erodendole e svuotandole da dentro, al fine di dare vita al suo progetto di potere, fondamentalmente basato su di uno schema rozzamente binario, all’interno del quale il Capo si rispecchia nel proprio popolo e viceversa. Bolsonaro, il Mito, appunto, e il suo popolo.
Contrariamente ad altre funeste esperienze storiche, non siamo qui in presenza di un modello semplicemente dittatoriale, perché il processo alla base del bolsonarismo non è quello di annullare il quadro istituzionale esistente d’un botto, bensì divorarlo lentamente dall'interno. Svuotarlo in maniera graduale, lasciando, al posto di quell’assetto istituzionale, un simulacro di assetto istituzionale.
Per questo, il Brasile di oggi sembra vivere una quotidiana lotta tra istanze populiste sovversive della Costituzione del 1988 e la strenua difesa delle prerogative di quest’ultima da parte del Supremo Tribunale Federale di Brasilia. Ultima in ordine di tempo, la deputata bolsonarista Bia Kicis ha recentemente twittato l’ennesima presa di posizione contro la Corte Suprema, presentando l’anodino argomento in base al quale questa starebbe, per l’ennesima volta, andando contro la volontà popolare.
L’ubriacatura da volontà popolare, del resto, non è solamente una prerogativa di 'canaglieria politica' brasiliana, presentandosi, piuttosto, ad ogni latitudine, ogni qual volta il discorso politico cominci a prendere una piega pur minimamente populista. In altre parole, lo scontro portato avanti dalla "truppa di choque" bolsonarista al Congresso e al Governo, prova ad appiattire la dialettica politica, costruendo un conflitto tra Potere Esecutivo e Giudiziario e mettendo in ombra quello che è il vero convitato di pietra dell’intera questione: il rispetto delle prerogative costituzionali sulle quali il Brasile post-dittatura militare è stato fondato.
Il ricorso al popolo altro non è che un escamotage per aggirare la Costituzione, mettendo la sordina alla stessa attuazione del Supremo Tribunale Federale, nel mentre che, uno ad uno, si svuotano gli altri poteri dall’interno. Emblematico, in questo senso, è quanto sta accadendo con riferimento alla Polizia Federale. Ne ha brillantemente scritto alcune settimane fa Allan De Abreu sulla rivista Piauí. Ciò che il bolsonarismo ha imposto alla Polizia Federale, attraverso la nomina di Paulo Gustavo Maiurino a Direttore Generale, rappresenta un regresso di decenni.
Maiurino, fin dal suo insediamento, ha dichiarato di voler porre fine al 'segredismo', pratica consistente nella condivisione, all’interno della Polizia Federale, di informazioni sensibili, quali indagini riguardanti narcotrafficanti, imprenditori e politici, solo ed esclusivamente con i soggetti della PF direttamente coinvolti in tali indagini. Questo al fine di evitare fughe di notizie e con l’obiettivo di blindare il più possibile la corporazione da possibili pressioni di tipo politico, cosa che, sia detto di passaggio, rappresentava una prassi consolidata prima della riforma copernicana alla quale la Polizia Federale fu sottoposta già a partire dal primo Governo Lula (2002-2006).
Di fatto, la fine del segredismo viene a sanzionare la politicizzazione della Polizia Federale e la sua riduzione ad una sorta di Giannizzeri al servizio degli interessi del Presidente della Repubblica. Come messo in luce da Allan de Abreu, il nodo della questione non è tanto e solo quello concernente le interferenze di un Governo nei confronti della suddetta corporazione, bensì il fatto che in precedenza il Direttore della Polizia Federale fungeva da "schermo" nei confronti delle pressioni esterne, mentre nel caso di Maiurino siamo di fronte ad un fenomeno del tutto opposto col nuovo Direttore Generale, che accampa scuse di "pubblicità delle indagini" al fine di silenziare le stesse.
Il punto archimedeo, al presente, è la promiscuità politica connessa alle indagini della PF sotto la gestione di un passacarte, ossia senza esperienza sul campo, come è Maiurino. Il risultato, del resto, è sotto gli occhi di tutti: la fuga selettiva di notizie, il più delle volte negli interessi del Governo; ne è un esempio la polemica di Bolsonaro sulle urne elettroniche come pure la sua difesa del voto stampato.
Le stesse operazioni della Polizia Federale nei confronti dei colletti bianchi sono cadute del 42% nel primo semestre di questo anno, in comparazione con lo stesso periodo dell’anno precedente, mentre gli arresti per reati connessi alla corruzione hanno visto una diminuzione del 55%. Elementi, i quali vanno ad aggiungersi alle persecuzioni messe in atto contro tutti quegli agenti, che rifiutino di seguire il nuovo indirizzo bolsonarista della Polizia Federale in stile Securitate, puniti mediante licenziamento o trasferimenti coatti.
Pertanto, quando si parla di un 'bolsonarismo' inteso come potere eversivo, è nel senso appena descritto, riferendoci alla Polizia Federale, che il termine 'eversivo' va inteso. Il segredismo aveva rappresentato un vero punto di svolta all’interno della storia della Polizia Federale e data, di fatto, dal 2011. Quella corporazione, che nel corso del recente passato ha purtroppo dato un apporto cospicuo alla fine del patto sociale tra forze lavoratrici e imprenditoriali in Brasile culminato con l’impeachment (golpe bianco) nei confronti della Presidente Dilma Rousseff nel 2016, proprio a partire dal tramonto dei Governi a guida Partido dos Trabalhadores, ha visto drasticamente ridotti i budget a propria disposizione ed erosa la propria indipendenza in relazione alla politica e ai potentati economici.
Tra il grottesco e il paradossale, la Polizia Federale, dopo la direzione Segóvia, voluto dall’ex-Presidente Michel Temer, un altro che ha attivamente contribuito al ridimensionamento della corporazione, aveva creduto che con l’insediamento di Bolsonaro l’agenda sarebbe stata realmente improntata ad una lotta senza quartiere alla corruzione e al crimine organizzato. Gli uomini della PF avevano dimenticato o cercato di non vedere i lacci, che, da sempre, legano la figura dell’attuale Presidente della Repubblica ai bassifondi criminali di Rio de Janeiro, le milizie paramilitari, e a reati quali il peculato, meglio nota in Brasile con il termine di rachadinha.
Uno stato di cose, la 'bolsonarizzazione' della Polizia Federale, che sembra avere anche preso una piega come minimo bislacca, fatta risaltare nel reportage di Allan De Abreu. Come detto, la carriera di Maiurino è stata in massima parte la carriera di un burocrate della Polizia Federale piuttosto che quella di un vero e proprio agente in campo. Questo gli ha permesso di svolgere le sue mansioni presso istituzioni, quali la Corte Suprema, all’interno della quale ha sviluppato una relazione di vicinanza, in particolare, con i Ministri Dias Toffoli e Gilmar Mendes.
Tra le prime iniziative assunte da Maiurino presso la Corte Suprema vi era stata quella di porre un freno al Servizio per le Indagini Speciali (Sinq), le cui competenze riguardano in maniera precipua le indagini contro quelle autorità protette da una qualche immunità. A pensar male si farà anche peccato, però è un fatto che a seguito di questa iniziativa vi fu il trasferimento di due funzionari, Bernardo Guidali Amaral e Felipe Alcântara de Barros, “colpevoli” di voler approfondire indagini che potevano arrivare fino a Dias Toffoli e a Gilmar Mendes.
Il primo rischiava di essere investigato per una presunta tangente di quattro milioni di reais in cambio di una decisione del Superiore Tribunale Elettorale, mentre il secondo poteva vedere messi in dubbio i dialoghi hackerati riguardanti i procuratori della Lava Jato di Curitiba. Insomma, un gesto di “cortesia” nei confronti dei due Ministri della Corte, quello compiuto da Maiurino.
Lo svuotamento dall’interno delle istituzioni brasiliane portato avanti dal bolsonarismo si serve, quindi, dei burocrati di Stato per realizzare il proprio progetto di potere, mentre, dall’altro, la stessa Corte Suprema, pur operando a difesa della Costituzione, non appare immune, almeno per quanto concerne taluni suoi membri, da questa deriva burocratica alleata al processo populista di Bolsonaro.
Il populismo - ciò che vale anche con riferimento al caso italiano - non è mai compatibile con un Paese, che fonda le regole del libero gioco democratico sul dettato costituzionale, perché il primato della politica passa ogni volta per un riconoscimento immediato, non mediato, tra il caudillo di turno e il proprio popolo.
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