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Il premier annuncia la manovra: «Le coperture ci sono, ma non tutto verrà fatto a settembre»



Una lunga conferenza stampa in cui si sono toccati tutti i punti salienti e le proposte contenute nel contratto di governo da tradurre in realtà nel prossimo futuro. Ha voluto salutare così, in vista della pausa estiva, il premier Giuseppe Conte, proprio nel giorno dei suoi cinquantaquattro anni. Dai propositi estivi ai fatti, dunque, con l'autunno che vedrà la ripresa dei lavori ordinari in Parlamento e l'inizio vero e proprio dell'azione di governo. Sul piatto, in primo luogo, la manovra, definita già da Salvini e Di Maio come rivoluzionaria.


Proprio quello il primo punto toccato dal presidente del Consiglio che ha risposto a quanti chiedessero garanzie sulle necessarie coperture finanziarie per sostenere i provvedimenti in agenda, spiegando che le risorse «sono ricavate da un'attenta opera di ricognizione degli investimenti programmati e delle spese. Non andremo a toccare settori strategici come la sanità, la scuola e la ricerca che assicurano al Paese prospettive di sviluppo». Tagli in vista, sembrerebbe, sebbene i settori a lungo vituperati della cultura e della ricerca verranno risparmiati da questa opera di snellimento della spesa pubblica. In riferimento agli investimenti già citati, la cui natura sarà senza dubbio più chiara una volta che saranno impressi nero su bianco, il primo ministro italiano ha annunciato che al tavolo di definizione delle strategie in tema economico e in particolare per quelle sulla reperibilità dei fondi necessari a finanziare le iniziative del governo, fosse presente anche il grande escluso dell'estate per il Dicastero di via XX Settembre, l'economista e ministro per gli Affari europei Paolo Savona. Conte ha precisato però come «non esista un piano Savona per gli investimenti, ma un piano del governo».



Altro tema di grande attualità, vero scoglio che potrebbe far naufragare l'avventura anzitempo, è quello sulle grandi opere. Se sulla Tap Conte si è espresso in maniera abbastanza emblematica quando dice che «alla fine ci sarà una valutazione e una sintesi politica che spetta al presidente del Consiglio e i suoi ministri», subito dopo aver dichiarato però che «stiamo parlando di un progetto già in corso di realizzazione, in parte già completato. Da presidente del Consiglio e da giurista dico che dobbiamo confrontarci con questo». Un nì più tendente al sì insomma, anche perché da qualche parte bisognerà pur cedere all'alleato leghista che vorrebbe un sì forte e chiaro sia per Tap che per Tav. Si è espresso anche sull'alta velocità il ventinovesimo presidente del Consiglio italiano, restando però su un terreno estremamente vago, rimandando «all'esito sulla verifica del rapporto tra costi e benefici le nostre decisioni. La sintesi la faremo tra un po' in termini risolutivi, in Consiglio dei ministri».


Invita anche alla prudenza Conte, avvertendo che non tutti i provvedimenti «saranno realizzati a settembre». Particolare rilievo, in questo senso, a flat tax e reddito di cittadinanza i cui costi sembrano ancora superiori alle capacità di spesa pubblica se la possibilità di operare in deficit fosse accantonata, secondo quanto già paventato dal ministro dell'Economia Giovanni Tria.


Anche sui rapporti con l'Europa il premier afferma di aver già più volte ribadito la posizione italiana sebbene precisi di non aver «mai chiesto una concessione o un trattamento di favore. Ci presenteremo a testa alta, con un progetto ragionevole. Saremo molto seri, molto duri, ma né irragionevoli né scriteriati». Proprio con le faccende di Bruxelles si intreccia il discorso legato all'immigrazione, ai flussi dal nordafrica e alle posizioni forti e intransigenti tenute dal Paese sotto la guida del capo del Viminale Salvini. «Fin qui possiamo dirci sufficientemente orgogliosi di aver cambiato questa politica evitando che il Mediterraneo divenisse il cimitero dei migranti senza nome. In più abbiamo imposto un cambiamento anche in Europa». Non ci gira intorno Conte nell'evidenziare i successi italiani nel campo, successi che per una volta hanno rivisto l'Italia promotrice e protagonista e non soltanto fanalino di coda delle imposizioni dei più grandi. Anche sulla Libia, terreno su cui rivolgere l'attenzione per smorzare in partenza il numero degli sbarchi in Europa, l'Italia sta facendo la sua parte e Conte sottolinea come «non abbiamo espresso pretese egemoniche o mire espansionistiche, ma la necessità di garantire interessi nazionali e riteniamo, per vocazioni storiche, di poter garantire una funzione di equilibrio». L'interesse primario dell'Italia e che dovrebbe essere quello condiviso dai partner dell'Ue è infatti quello di «stabilizzare la Libia, in modo da arrivare a elezioni politiche e presidenziali con adeguaste garanzie. Sappiamo che se affrettiamo questi processi non otteniamo una stabilizzazione vera».


Anche sul tema dei rapporti esteri, in particolare quelli con gli Usa con cui il premier avrebbe sancito una sorta di asse al momento della visita al presidente Donald Trump alla Casa Bianca, Conte si dice ottimista definendo l'intesa «non a danno dell'Ue o di uno specifico Paese europeo, a meno che non ci siano pretese egemoniche di qualche Paese europeo». Una stoccata alla Germania? Di sicuro quella con il tycoon è un'amicizia a doppia faccia che da un lato può restituire centralità alla vicenda anche internazionale dell'Italia, ma dall'altro rischia di aggiungere il Paese alla lista delle nazioni mal viste dall'altra metà del mondo.


Buoni propositi, promesse, dati e primi concreti risultati. Non è mancato nulla nel banchetto mediatico allestito a Palazzo Chigi. Tanta carne sul fuoco che andrà cotta a puntino e al momento giusto, per non ritrovarsi ricchi di speranza, ma col piatto vuoto.


di Alessandro Leproux

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