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Il rigore di Bruxelles impoverisce l’Europa, un prestigioso istituto americano boccia la UE



La politica dell’austerità è uno sbaglio, deprime l’economia e impoverisce la popolazione. La condanna alla strategia perseguita da Bruxelles, in nome della quale, il presidente della Commissione europea Juncker ha minacciato l’Italia di attivare la procedura di infrazione, viene da uno dei più prestigiosi istituti finanziari americani. Si tratta dell’Institute of International Finance, l'unica associazione globale delle istituzioni finanziarie, fondata nel 1983 da 38 banche dei maggiori Paesi industrializzati, per reazione alla crisi creditizia internazionale dei primi anni '80. L’Istituto ha pubblicato una ricerca nella quale fa un confronto tra l’andamento delle economie di Usa e Europa a partire dal 2008. Dall’analisi emerge che mentre prima della grande crisi del 2008, marciavano quasi allo stesso ritmo, quando è esplosa la recessione l’Europa ha cominciato a rallentare ed è cresciuta del 10% in meno rispetto agli Stati Uniti con uno scarto pro capite di Pil del 5%.


La causa secondo gli economisti dell’Istituto è da attribuirai alle politiche del rigore adottate dalla UE, proprio mentre l’eurozona avrebbe avuto bisogno di usare la leva della spesa pubblica. Si sono continuate ad applicare quei criteri del trattato di Maastricht in una congiuntura che richiedeva invece politiche espansive. Proprio quello che hanno fatto gli Stati Uniti aiutati anche dalla strategia dei tassi bassi della Fed.

In Europa invece mentre la Bce cercava di stimolare l’economia con il quantitative easing e il basso costo del denaro, Bruxelles imponeva l’austerità, l’applicazione ragionieristica del rientro del deficit. Non solo. L’Unione europea prima ha costretto la Grecia a ripagare i propri debiti in un momento in cui l’economia era precipitata, e oggi sta costringendo l’Italia a mantenere il deficit sotto l’1,8% del Pil anche se il Paese è in una fase di stallo, a crescita zero.


La conclusione a cui giunge la ricerca è che alla recessione non si può rispondere con l’austerità perché i Paesi si impoveriscono. Ed è quanto il governo Conte ha cercato di far capire a Bruxelles varando una manovra che aumentando la spesa pubblica potesse drenare in qualche modo risorse per far ripartire l'economia. L’esito è cronaca di questi giorni. Di Maio e Salvini sono costretti a fare marcia indietro, ad abbassare il target del deficit, con buona pace di Bruxelles. L’Istituto di Washington ha poi spiegato un’altra conseguenza delle politiche di austerità. Le persone restano a lungo disoccupate, perdendo le competenze necessarie per rientrare nel mercato del lavoro. Così quando la situazione economica migliora, non sono più in grado di rientrare nel giro. Gli Stati Uniti hanno adottato una politica opposta e questo spiega come mai crescono più del doppio dell’Europa. I due analisti dell’Istituto, Robin Brooks e Greg Basile dicono che proprio alla luce di questo scenario, con il prolungarsi della crisi, sarebbe un grave sbaglio porre fine al quantitative easing da parte della Bce, cioè interrompere l’acquisto di titoli pubblici e alzare i tassi d’interesse. Quindi la Banca Centrale dovrebbe continuare a supportare la politica espansiva perché l’emergenza non è finita.

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