Tra gli "obiettivi" a breve scadenza centrati dal governo gialloverde ce n'è senza dubbio uno che salta all'occhio più degli altri. L'essere riusciti in pochi mesi a scontentare tutti, alleati di coalizione e non, fedelissimi e simpatizzanti, chi prima chi dopo, è un dato che conferma la tendenza di questo esecutivo "saldamente malfermo" (in analogia con gli "obblighi flessibili") di andare un po' dove tira il vento, del consenso, che non sempre ha a che fare col cambiamento.
Se alla sponda "gialla" i suoi sostenitori (la famosa "base") hanno contestato l'aver reso la Lega se non il partito trainante quantomeno un capo fra pari, al netto del voto del 4 marzo che avrebbe fatto pensare a un governo a tinta unica o quasi; se dalla sinistra tutta sono piovuti sacchi di concime contro il Movimento reo di essersi dimenticato delle proprie battaglie l'istante successivo l'insediamento a Palazzo Chigi, tanto meglio non è andata a Matteo Salvini. Ma come? I sondaggi danno la Lega ormai nettamente avanti rispetto al coinquilino, eppure le grane non hanno risparmiato nemmeno "il Capitano", soprannome con cui il leader del Carroccio spopola nelle piazze social. Il caso Diciotti, e le sue conseguenze che hanno portato sulla graticola il ministro degli Interni a rischio processo, sono stati l'ennesima scintilla su un substrato altamente infiammabile: se i grillini, già politicamente "isolati" prima dell'esperienza governativa, sono alle prese con le turbolenze del loro elettorato, i fastidi in casa Lega vengono tutti dagli storici alleati di quel sogno chiamato centrodestra. Passi (nemmeno troppo) l'aver fatto il governo tabù con i distruttori della politica pre-Rousseau, ma quando le accuse diventano di voto di scambio a discapito di quei principi e argomenti portati a sostegno della propria candidatura, il disturbo rischia di cronicizzarsi. Alla malizia di chi vede nell'autorizzazione negata a procedere contro Salvini un'occasione per i 5S di ottenere qualcosa in cambio, cominciano timidamente a credere anche quelli che un tempo Matteo chiamava amici. Con Berlusconi che prova a bombardare senza sosta «i nemici della libertà» identificati questa volta nel Movimento di Beppe Grillo e Casaleggio, più di un deputato di Forza Italia rinfaccia al leghista di essersi fatto la campagna con i loro argomenti (sì Tav e grandi opere, sì a interventi per risollevare le imprese del centro-nord) per poi mollare tutto al momento opportuno, e tutto in virtù della sopravvivenza sua e del governo Conte. Per qualche forzista, Salvini ha imparato sin troppo presto a zoppicare e se lo zoppo con cui si accompagna fa di cognome Di Maio, è evidente che qualche incomprensione nasca spontanea. Dopo lo slancio iniziale sui migranti, tema caldissimo e sempre attuale che Salvini ha preteso di avere in custodia quale capo del Viminale, e che ha appunto ingannato i più che hanno visto in questa "concessione" da parte dei grillini un clamoroso autogol che gli ha via via sottratto consensi e favori del pubblico, la realtà su tutti gli altri temi centrali, quali appunto lavoro, infrastrutture, giustizia e stato sociale, conferma che il buon vecchio compromesso è duro a morire.
Chiamati alle urne tra meno di quarantotto ore, i cittadini sardi dovranno decidere a chi dare fiducia e mandato di rappresentanza, e qualche mala lingua si interroga se un voto alla Lega (e al centrodestra) corrisponda, ad esempio, un sì alla Tav o meno, visto che ormai lo sdoppiamento tra partito nazionale e locale sembra aggravarsi ogni giorno che passa. Lui, proprio dalla Sardegna, si difende e smentisce tutto: la Tav? «Non c'è alcun blocco della Tav, c'è solo una revisione del progetto con l'obiettivo di portare a termine il progetto». Il presunto voto di scambio? «Una sciocchezza planetaria… poi se vogliono processarmi facciano pure». Chissà cosa ne pensano Toninelli e Di Maio.
di Alessandro Leproux
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