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Il sindaco di Sanluri: «Sbagliando s'impara. Ecco perché la Sardegna è ripartita prima degli altri»



Alberto Urpi, sindaco di Sanluri, comune nel Sud della Sardegna, sottolinea come la negligenza dello scorso anno ha nei fatti consentito una maturità che ha permesso una crescita del turismo e dell’economia rapida a partire dall’apertura della stagione estiva. Non a caso la sua comunità è stata protagonista a giugno di un importante festival culturale, che ha visto partecipi autori del calibro dell’ex togato Palamara.


E’ ripartita ormai la stagione estiva. Cosa cambia rispetto a quella appena trascorsa?


«C’è molta più consapevolezza, attenzione, nonché una sana preoccupazione per non ripetere gli errori dello scorso anno».


La Sardegna è tra le mete più apprezzate dai visitatori. Anche in questa particolare situazione ha funzionato tutto?


«In un ragionamento generale ha funzionato tutto o quasi tutto. La Sardegna si è preparata e nonostante le difficoltà iniziali è andata avanti con la campagna vaccinale nel migliore dei modi. Grazie a ciò posso dire che la nostra isola è pronta ad accogliere il flusso turistico perché ha assunto quell’attenzione e quella consapevolezza che invece prima non c’erano. Tant’è vero che in Sardegna prima abbiamo iniziato con i tamponi a tappeto e adesso con l’immunizzazione stiamo andando davvero a passo spedito. Ciò ci ha consentito non solo di rientrare rapidamente in zona bianca, ma di far tornare pieni i porti e gli aeroporti, sentendoci abbastanza sicuri».


Cosa il governo avrebbe potuto fare per aiutare di più zone che nei fatti vivono di ricettività?


«Il precedente esecutivo Conte ha fatto ben poco. Basti pensare ai tanto discussi decreti sulla mobilità. Con Draghi certamente c’è stato un cambio di passo. I numeri sui vaccini ne sono la prova. Non a caso da fanalino di cosa, siamo passati alla seconda nazione europea per sieri effettuati. In più, l’attuale premier ha smesso solo di parlare di Recovery Plan, ma si è messo invece a dar gambe a tutto ciò, così come ha fatto per una serie di incentivi e sostegni alle aziende turistiche, che subito avevano bisogno di aiuto per ripartire. Pur essendo un governo, quindi, nato con difficoltà legate al passato, devo dire che si sta comportando bene, a differenza invece di quello precedente che ha illuso le aspettative».


A proposito di misure restrittive, secondo lei si poteva cambiare qualcosa per agevolare il turismo?


«No! Le misure restrittive sono andate bene e questo devo riconoscerlo anche al governo Conte. Anzi ritengo si sia sbagliato quando nella scorsa estate si sia aperto troppo, quasi come se non ci fosse stato il Covid. Non avevamo le mascherine e ci sembrava che era tutto finito, invece poi abbiamo visto quello che è successo. Sull’argomento, quindi, ritengo positiva la severità. L’unica cosa che non sono riuscito a capire è stato il coprifuoco. Non ci sarebbe stato niente di male che con i locali chiusi qualcuno si potesse fare una passeggiata all’aria aperta anche in determinate fasce orarie. Detto ciò, comprendo che in una pandemia, che nei fatti equivale a un periodo di guerra, bisogna trovare la soluzione che ha maggiori effetti nell’immediato».


Per la ripartenza, se altre realtà hanno deciso di puntare su mare, eventi ludici, lei ha scelto di investire sulla cultura. Perché?


«Abbiamo realizzato un’iniziativa a giugno sulla letteratura per far sì che un Comune, che non è sulle coste ma vicino, potesse offrire qualcosa di alternativo al mare, allo stesso tempo in grado di completare quelle che sono le vacanze dei turisti che sono arrivati da noi, dando così un’offerta alternativa rispetto al passato. Questa è la strada da seguire in termini di ricettività. Abbiamo voluto portare nella nostra realtà scrittori emergenti ma anche autori di fama nazionale e internazionale, facendo così finire la nostra cittadina sotto i riflettori dell’opinione pubblica».


Tra i protagonisti della rassegna anche Palamara. Che idea si è fatto sulla sua vicenda?


«Ho fortemente voluto Sallusti e Palamara. Mi sono sempre, infatti, posto la domanda: ci sentiamo garantiti dal sistema giustizia italiana o quasi minacciati, sostenuti dai nostri colleghi amministratori o serviamo semplicemente a una lotta di potere? La vera domanda è se istituzioni che ci dovrebbero garantire lo fanno per davvero. Ho apprezzato, quindi, Palamara perché, pur essendo un giovane che si è trovato a capo della magistratura, alla fine ha sentito il bisogno di dire basta e di denunciare quanto non funzionava in quello che lui stesso definisce un vero e proprio sistema. Correndo gravi rischi di diversa natura ha scelto di raccontare a noi italiani e in modo particolare alla classe dirigente che non tutto funziona e che dobbiamo sentirci non sempre garantiti, ma purtroppo spesso in pericolo. Non a caso, oggi, quando chiedo a qualcuno di candidarsi con me alle amministrative, sono in tanti che non vogliono farlo, sia come consigliere che come sindaco. Ho sempre sperato che si candidasse qualcuno altro al mio posto. Nessuno, però, vuole più svolgere questa importantissima funzione perché in quasi tutti i Comuni è gratuita, soprattutto perché le responsabilità sono enormi. L’altro giorno, infatti, hanno fatto un avviso di garanzia a un sindaco per un bambino caduto all’asilo. Ecco perché bisogna chiedersi se il sistema, denunciato da Palamara, che nei fatti interseca più settori, aiuti l’Italia o la freni».


Quanto giustizia e burocrazia rallentano lo sviluppo in piccole comunità, come quella da lei amministrata?


«Entrambe lo penalizzano. Questo è chiaro, anche se parlando di giustizia, mi riferisco a quella sbagliata, perché sono convinto che esiste anche una grande parte che funziona bene e che ci dà speranza. L’Italia, purtroppo, è diventato il Paese dell’incertezza, dai tempi di autorizzazione, come la burocrazia fino alla responsabilità di alcune Procure nell’aprire un’indagine. Le sentenze che arrivano dopo anni, poi, diventano quasi ininfluenti e a valere sono soprattutto i processi che si si fanno a livello mediatico. Il danno, comunque, viene fatto già dall’apertura dell’inchiesta, danneggiando non solo tante persone oneste, ma rallentando anche lo sviluppo in tante piccole comunità. Oggi un procuratore può minacciare chiunque. Burocrazia e giustizia, pertanto, quando funzionano aiutano lo sviluppo, ma quando non è così fermano tutto, finendo con lo spaventare pure gli investitori stranieri».


Di Edoardo Sirignano

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