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Il terreno inaridito del cinema italiano (La rubrica di Michele Lo Foco)


Privato della giusta dose di acqua e fertilizzanti il nostro terreno cinematografico non solo non produce più frutti ma tende a seccarsi, riducendosi ad uno strato polveroso di erbacce e di cespugli. Basterebbe alzarsi leggermente da terra per vedere un po' più dall’alto quello che, stando sdraiati come quasi tutti gli operatori attuali, non si riesce a decifrare. Sembra che i miei continui solleciti come vox clamans siano le espressioni di un contestatore seriale, ma purtroppo i risultati sul campo e i disagi strutturali non fanno che confermare che il settore, il nostro settore, si è inaridito. Dall’alto, ma nemmeno troppo, si vedrebbe che manca totalmente l’ingrediente principale dei prodotti, e cioè la scrittura, e non solo quella dei prodotti seriosi, che per prassi sembrerebbero richiedere più ingegno, ma soprattutto quella delle commedie, che oltre a non rappresentare più nulla delle caratteristiche nazionali, non esprimono alcuna comicità. I nostri attori “leggeri” strappano la risata esclusivamente ai loro produttori o a qualcuno della Rai o delle piattaforme, ma non al pubblico. Le gag, anche le più stupide, non sono sufficienti per sostenere Brignano, Lillo e Greg, Ficarra e Picone, Ale e Franz coloro che hanno sostituito i vari De Sica & company. Per far ridere ci vogliono situazioni e dialoghi, non basta l’accento napoletano per sostituire le battute, e non bastano due smorfie per rendere ridicolo un personaggio. Far piangere è più facile, e qualche autore è stato capace di provocare le lacrime, ma un eccesso di intimismo e di tragedia, in un momento già così drammatico, non aiuta. Per questo motivo i documentari, che hanno il vantaggio di dichiarare subito a chi sono dedicati, e di esaurire di solito l’argomento, sono preferiti

alla normalità dei film: mescolano un po' di storia, un po' di costume, un po' di sana curiosità, un po' di divismo e certamente non annoiano, almeno quelli di nuova generazione. In televisione quello che invece annoia sono i presentatori, a frotte, che vivono di ospiti: tutti sono presentatori e tutti hanno ospiti, addirittura gli stessi, con Mieli in testa capace di qualunque argomento. Quello che sorprende è la convenzionalità dell’accoglienza: sono tutti amici cari, tutti famosissimi, tutti osannati, tutti bravissimi, e si sprecano gli abbracci e i baci, mentre le presentatrici, sotto sotto, ostentano la loro bellezza, il sorriso e il corpo. Ospitare in televisione è il lavoro del secolo: le donne in questo eccellono. Quale è il motivo? Per presentare non bisogna avere fatto l’università, né un corso di recitazione, né un master in comunicazione. - Basta al massimo “il grande fratello”, o un dirigente che ti voglia valorizzare, o un paio di gambe da concorso (Fialdini docet) o un carattere estroverso e caciarone (alla “famo” “dimo” Venier docet). – Il resto lo fanno gli ospiti.


di Michele Lo Foco

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