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Il valzer di Mattarella: sospeso tra le scelte del governo e le proteste delle opposizioni



Decreto Sicurezza. Sbarchi dei migranti. Provvedimenti attuativi della legge di Stabilità. Prerogative delle Camere. Il Capo dello Stato “è preoccupato”. Una condizione, ormai, ‘naturale’, per Sergio Mattarella, già da quando il governo gialloverde – grazie, anche, al suo contributo, silenzioso ma fermo nel voler dare un governo al Paese – è nato, nonostante le richieste di impeachment di Di Maio contro di lui e il vero e proprio ‘dramma’ vissuto nei giorni in cui tutto sembrava stesse sul punto di saltare perché Mattarella non volle avallare la nomina di Paolo Savona a titolare del Mef, tanto che fu spostato agli Affari europei. Prima, tra giugno e luglio, è stata la questione delle nomine della squadra di governo e dello spoil system usato da Lega e 5Stelle nello spartirsi le poltrone senza guardare in faccia a nessuno, a far alzare al Colle ben più di un sopracciglio. Poi, appunto, la questione dei migranti, con il Viminale che sposava, con durezza, la filosofia dei ‘porti chiusi’ a tal punto che, per far sbarcare, nello scorso luglio, i profughi che erano a bordo di una nave militare dello Stato italiano, la ‘Diciotti’, proprio Mattarella dovette intervenire, e in prima persona, per sbloccare una situazione drammatica (e imbarazzante) che sembrava senza alcuna via d’uscita.


Poi, dopo l’estate e dopo il dramma del crollo del ponte Morandi a Genova, con le conseguenti polemiche tra il governo e la società Autostrade (Mattarella, in quel caso, non disse un ‘ah’), è stato, come si sa, la scrittura e il varo della manovra economica a mettere il Quirinale in condizione di ‘allarme rosso’ per interi mesi. E se è vero che solo grazie alla preziosa mediazione del Colle la Ue ha accettato una faticosissima mediazione con il governo per portare il rapporto deficit/Pil dal 2,4% iniziale al 2,04%, la ‘vittoria’ di fatto della linea ‘trattativista’ del Colle (in quel caso supportata sia dal premier Conte che dal ministro Tria) la mediazione felicemente trovata, dopo mesi di impennata dello spread e di crollo delle Borse, ha avuto come velenoso contraccolpo la compressione dei diritti delle opposizioni quando la nuova legge di Stabilità è approdata alle Camere, con tanto di ricorso del Pd alla Corte costituzionale per quel vulnus ai diritti delle minoranze che, ovviamente, ha creato grattacapi e problemi anche al Capo dello Stato e alla sua rigorosa e puntuale difesa della lettera della Costituzionale.


Mattarella credeva di avere, almeno per un po’, messo le cose a posto con il discorso di Capodanno, criticando chi si sentiva in dovere di criticare (il governo rispetto alla compressione dei diritti del Parlamento, il governo per la iniqua tassazione del non profit, Salvini per i toni accesi, etc.) e lodare chi si sentiva in dovere di lodare (le Forze Armate, “che non possono essere usate per pulire Roma”, il mondo del non profit per il suo impegno solidale, etc.). E, invece, in soli tre giorni ecco di nuovo il Colle nel mirino. A dire la verità, sul terreno della ‘disobbedienza civile’ dei sindaci di centrosinistra al Decreto Sicurezza, Mattarella ha avuto un moto di stizza nei confronti dell’opposizione perché contestare apertamente la costituzionalità di una legge che il Capo dello Stato ha, doverosamente, firmato, vuol dire metterne in dubbio il ruolo di arbitro imparziale. Non a caso, in quella polemica, Salvini ha avuto buon gioco a sottolineare, in ogni occasione, che quel decreto proprio il Colle “ha firmato”. Sotto-testo, rivolto all’opposizione: ‘siete voi che delegittimate il ruolo del Capo dello Stato’. Invece, sull’ennesimo scontro che si è acceso nel governo sui migranti, con Conte e Di Maio per la linea ‘morbida’ e Salvini per la linea ‘dura’, Mattarella non può che stare con i primi, non foss'altro perché ritiene, a sua volta, che l’Italia debba presentare, davanti agli occhi dell’Europa e di tutta la comunità internazionale, il suo migliore ‘volto umanitario’ e non fare, come fa, invece, Salvini, solo la ‘faccia feroce’.


Ma resta il punto. Quando il Colle firma una legge, questa legge può essere contestata – e, persino, disapplicata – da organi periferici dello Stato come sono, appunto, i sindaci? I costituzionalisti, sul punto, presentano pareri discordanti, ma su un dato di fatto, invece, concordano: la firma del Colle a una legge è (quasi) sempre obbligata. Il Quirinale può, certo, rifiutarsi di avallare un provvedimento e rimandarlo indietro alle Camere con un messaggio motivato (lo fece, per dire, Napolitano sul caso del decreto Englaro), ma non può, quando quella legge gli torni indietro così com’è, rifiutarsi di firmarla una seconda volta. Infatti, un tale atto si configurerebbe come un atto ‘eversivo’ dell’ordine costituzionale che vede nel rapporto governo-Parlamento il ‘cuore’ politico dell’approvazione delle leggi e che non consente, al Capo dello Stato, di rifiutarsi in modo ostinato a firmare le leggi, a meno che, ovviamente, non si tratti di provvedimenti eccezionali che mettano in discussione la forma repubblicana dello Stato, l’integrità dei diritti di libertà (personali, civili, politici) dei cittadini e la violazione palese di norme previste dalla Costituzione. Del resto, è stato lo stesso Mattarella a ricordare - in un’altra occasione, peraltro un po’ datata nel tempo, ma sempre valida, e cioè quando parlò a un gruppo di studenti in visita al Quirinale il 26 ottobre 2017 e che gli chiedevano come, appunto, «si sarebbe comportato se si trovasse nella condizione di firmare leggi che non gli piacciono» -i confini dei suoi poteri.


«Quando mi arriva qualche provvedimento, una legge dal Parlamento o un decreto legge del governo, io anche se non lo condivido appieno – disse Mattarella - ho il dovere di firmarlo e devo accantonare le mie idee perché devo rispettare quello che dice la Costituzione: la scelta delle leggi spetta al Parlamento e la scelta dei decreti che guidano l’amministrazione dello Stato spetta al governo. Se non firmassi – concluse in quell’occasione Mattarella – andrei contro la Costituzione». «Certo - sottolineò in quella conversazione con i ragazzi, il Capo dello Stato – c’è un caso in cui posso, anzi devo, non firmare: quando arrivano leggi o atti amministrativi che contrastano palesemente con la Costituzione. Ma in tutti gli altri casi non contano le mie idee, perché non è a me che la Costituzione affida quel compito, ma ad altri, al Parlamento e al governo. E io ho l’obbligo di firmare perché guai se ognuno pensasse che le proprie idee prevalgono sulle regole dettate dalla Costituzione. La Repubblica non funzionerebbe più». Ecco, anche le opposizioni – specie il Pd che ha imbastito una sorta di via ‘legalitaria’ per far saltare il governo, quella di ricorrere, ormai a ogni piè sospinto, alla Consulta per mettere in mora, e cioè far dichiarare incostituzionali, le principali leggi del governo gialloverde (decreto Sicurezza, manovra economica, presto forse anche legittima difesa) – dovrebbero ricordare sempre queste parole di Mattarella. Come dovrebbero ricordarle, ovviamente, le forze della maggioranza perché, ove mai venissero approvate leggi ‘realmente’ liberticide e sovversive della Costituzione, il Capo dello Stato sarebbe il primo a porsi contro di esse.


di Ettore Maria Colombo

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