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Immigrazione bomba a orologeria. Ad alto rischio il summit di domani. L'Italia non molla



Detto e fatto. Matteo Salvini, sulle ali di un crescente consenso popolare, l'aveva promesso in tutte le salse e lo sta mantenendo. L'Italia non è più quella remissiva e piagnucolante di poco tempo fa, materassino di gomma di partners europei forti e furbi. Un ricordo, i salamelecchi e gli inchini "bruxellesi" dei governi precedenti, tecnici o politici (ma sempre di centro-sinistra) che fossero. Siamo ormai un condomino scomodo, pronto a ribattere con dei sonanti no alle proposte capestro dell'"amministratore" franco-tedesca, senza curarci troppo di sfasciare un equilibrio comunque già compromesso. Se ne è accorta "Frau Angela", sempre piu' indebolita dalla fronda degli alleati bavaresi, alfieri delle "frontiere chiuse", costretta ad esibirsi in una spericolata retromarcia sulla bozza UE che penalizzava gli stati mediterranei di "primo approdo" (noi in testa), pur di recuperare il premier Conte al tavolo del summit di domani, preparatorio del drammatico match in cartellone a fine mese. L'ha verificato almeno due volte l'ineffabile e altezzoso capofila degli "egoisti", il francese Emmanuel Macron, le cui contumelie contro il rinvigorito "belpaese" sono state respinte con perdite.                                                           Una verità per molti indigeribile: non intendiamo più sobbarcarci da soli il carico più pesante dell'onda d' urto dei disperati, e sfruttati, in barcone che giungono da Libia e Tunisia, né accettiamo di riprenderceli da altri. 

"Tolleranza zero", concetto inequivocabile, da sempre bollato come "reazionario" dai nostrani circoli col naso all'insù. Battere i pugni e parlare ad alta voce. L'Italia c'è! E spinge per il blocco dei cosiddetti "movimenti primari", per il rafforzamento del dispositivo difensivo del Mediterraneo ("Frontex"), per l'allestimento in Nordafrica di punti di raccolta e identificazione dei richiedenti asilo (gli "hotspot"), per la ripartizione obbligatoria degli aspiranti profughi in nome di un'assunzione comune di responsabilità e del superamento dell'attuale regolamento di Dublino. Il rischio è alto. Si procede in ordine sparso. Tra il rifiuto "tout court" del sistema delle quote, che ci alleggerirebbe da un peso insostenibile, e un suo sostanziale ridimensionamento. I quattro di Visegrad, Ungheria di Orban, Polonia, Cechia e Slovacchia, appoggiati dal giovane premier austriaco Kurz nelle vesti di improbabile mediatore (lui domani sarà a Bruxelles, loro no), sono pronti a far saltare il banco. Come noi, del resto, che non abbiamo alcuna intenzione di arretrare di un pollice. L'Europa potrebbe liquefarsi, sciolta dal fuoco mai domato dell'emergenza-immigrazione, bomba a orologeria della sua stabilità. Vacilla lo stesso trattato di Schenghen. Occorrerebbe un salto di qualità, l'emergere di un minimo comun denominatore, che non si intravede al momento. L'Italia attende al varco Germania e Francia, convinta delle sue (neglette) buone ragioni. Vincere contro l'invasione è partita dura. In gioco, la sopravvivenza della UE com'è oggi.


di Giovanni Masotti

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