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In Venezuela due presidenti, il riconoscimento Usa divide il mondo


Due Parlamenti, due Corti Supreme e, ora, due Presidenti: il Venezuela, stremato, raddoppia e tenta di evitare la guerra civile, anche se i morti ci sono già stati in tutto il Paese. E anche le alleanze dividono.


Juan Guaidò, leader dell'opposizione, autoproclamatosi presidente in attesa di elezioni

Juan Guaidò, giovane leader (35 anni) dell’opposizione, ha giurato con una mano sul petto che poi va leggera sulla Costituzione autoproclamandosi presidente ad interim in attesa delle elezioni, mentre Nicolàs Maduro è diventato “l’usurpatore”. Ma il gesto non ha rasserenato il Paese, anzi: dopo la marcia di Caràcas e il comizio del neopresidente gli scontri in tutto il Venezuela hanno portato 14 morti, 218 arresti e decine di feriti.

Dopo la proclamazione di Guaidò il vice di Maduro, Diosdado Cabello, ha convocato una contromanifestazione sotto il palazzo presidenziale, parlando di violazione della Costituzione. Maduro si è presentato dal balcone del palazzo e ha sottolineato di essere stato eletto dal popolo, rinnovando l’intenzione di non abbandonare il potere e annunciando la rottura delle relazioni diplomatiche con gli Usa, lasciando al personale diplomatico 3 giorni per abbandonare il Venezuela.


Il Presidente degli Usa Donald Trump

Sì perché è sospetta, anzi è certo l’appoggio degli Stati Uniti a Guaidò visto il timing del riconoscimento, un “uno-due” con il neopresidente appena dopo la sua autoproclamazione. Donald Trump è stato il primo, ed ha invitato gli altri Paesi a seguire il suo esempio, subito imitato da Canada, insieme a Brasile, Colombia, Perù, Guatemala, Ecuador, Argentina, Costa Rica, Cile e Paraguay. Anche Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, è con Guaidò, come il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani. Con Maduro Messico, Bolivia, ma soprattutto Cina, Russia, Siria, Iran e Turchia. Mosse in chiaro stile antiamericano, come le dichiarazioni.

Trump ha dichiarato che tutte le opzioni sono sul tavolo, non escludendo quindi un attacco armato. L’Unione Europea ha chiesto di non ignorare la voce del popolo, rivolgendo un appello per arrivare a elezioni libere e credibili.


L’Alto rappresentante europeo per la politica estera, Federica Mogherini

E l’Alto rappresentante europeo per la politica estera, Federica Mogherini, «sostiene pienamente l’Assemblea nazionale come istituzione eletta democraticamente e i cui poteri vanno ripristinati e rispettati». Emmanuèl Macròn, presidente di una Francia che è potenza nucleare, ha twittato: «Rendo omaggio alle centinaia di migliaia di venezuelani che marciano per la propria libertà. Dopo l’elezione illegittima di Nicolas Maduro nel maggio 2018, l’Europa sostiene il ritorno della democrazia». E forse c’è anche un pensiero ad altri che marciano, coi gilet gialli.

Dal fronte orientale Pechino ha invitato gli States a non interferire nella situazione venezuelana con un appello a razionalità ed equilibrio, in perfetto stile taoista, chiedendo una soluzione politica con un dialogo pacifico all’interno della Costituzione. Mentre la Russia, in una nota del ministero degli Esteri, condanna fermamente quella che per la Russia è una spinta alla guerra civile, che vede nella formazione di un doppio potere la via diretta alla distruzione delle basi dello Stato venezuelano.


Il presidente della Turchia Erdogan

Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco, ha fatto di più: ha telefonato a Maduro dicendogli: «Fratello mio tieni forte, ti stiamo accanto», con la portavoce della presidenza che ha ribadito che la Turchia manterrà la sua posizione di principio contro tutti i tentativi di golpe. E non poteva essere altrimenti. E con la Turchia anche Siria e Iran: il ministero degli esteri di Damasco ha condannato con forza le spudorate interferenze degli Usa negli affari interni del Venezuela, esprimendo piena solidarietà a Maduro. Proprio come Teheran, che si è detta contro qualsiasi azione illegale, compresa l’organizzazione di colpi di stato.


Il presidente eletto del Venezuela Nicolas Maduro

Questa la situazione politica all’estero. Ma Guaidò intanto è a rischio arresto, ancora non ordinato da Maduro. L’autoproclamato potrebbe quindi decidere di rifugiarsi in un’ambasciata straniera a Caracas. Opzioni rese più difficili dai riconoscimenti internazionali e da una sorta di sponda legale offerta dalla Costituzione del Paese sudamericano, che darebbe potere di intervento al presidente dell’Assemblea Nazionale in caso di necessità e vuoto di potere. E sullo sfondo di una crisi economica senza precedenti è l’esercito quello che potrebbe mettere la sua spada su uno dei piatti della bilancia, facendola pendere a favore di uno dei due presidenti.


di Paolo dal Dosso

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