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Intervista a Alfonso Luigi Marra: «E' ora di spengere il mondo per salvarci dal disastro ambientale»


Lucido. Geniale. Provocatore. Fuori le righe. Perfino profetico. Alfonso Luigi Marra è tutto questo e anche altro. Nelle sua vita questo signore di 72 anni, calabrese di nascita, napoletano di adozione, è stato avvocato, scrittore, parlamentare europeo. Se gli italiani hanno conosciuto il signoraggio, o meglio, per dirla con le sue parole «il crimine del signoraggio», che rende le banche centrali - organismi privati si badi bene - padrone del nostro futuro e delle economie nazionali lo devono in gran parte alle battaglie di Marra. Che per rendere edotte le persone sugli affari della «cupola bancaria» non ha esitato ad arruolare come testimonial Sara Tommasi o Aida Yespica. Il clip con Sara Tommasi nuda ai tempi (otto anni fa) su You Tube ha avuto circa 150mila visualizzazioni. Insomma, Marra è uno che precorre i tempi. E che da più di 30 anni mette in guardia dai rischi del cambiamento climatico. Per dire nel 1987 al Maurizio Costanzo Show disse: «Ci sta cadendo il cielo sul capo e ancora non basta!». Greta era ancora di là da venire, Beppe Grillo si limitava al cabaret.


Marra oggi si apre a Madrid la Cop25, la conferenza sul clima in cui si decidono le future strategie sulle emissioni. Si aspetta risultati apprezzabili dal consesso?


«Non credo sia o una questione di conferenze ma di eventi, nel senso che, a mio avviso, al punto cui siamo giunti non si può fare niente, addirittura è un errore porsi degli obiettivi. Nel senso che bisogna prima di tutto cambiare metodo. Ora che cosa determinerà il cambiamento del metodo nell’esercizio del pensiero? Lo determineranno gli eventi. La collettività cerca di non farlo apparire ma è spaventata. C’è un fatto assolutamente inedito nella storia dell’umanità ed è la mancanza del futuro. Mai nella sua storia l’uomo si era misurato con questa drammatica percezione della fine del futuro. Perciò, tornando alla conferenza di Madrid, cosa vuole che possa cambiare! Cosa pensa che possa dire la von Der Leyen di risolutivo. Nulla. La verità è che oggi quelli che dicono di preoccuparsi del futuro dell’umanità sono i garanti dell’immobilismo che condanna l’umanità medesima».


Non crede che ci sia accorti troppo tardi che il mondo andava verso il baratro?


«Trent’anni fa quando la mattina andavo a caccia c’era sempre l’erba ghiacciata nei prati. Da diversi anni quell’erba bianca non la si vede più. Io sono silano e ricordo che mia madre diceva che in Sila la neve iniziava a novembre e finiva a maggio. Dagli anni Novanta in poi la neve sulla Sila è una eccezione. Questo per dirle che non serviva chissà cosa per vedere quello che stava avvenendo sotto i nostri occhi. La verità è che la questione implica un livello di cambiamento così grande che la gente accetta con più facilità di l’idea di morire per la catastrofe ambientale, piuttosto che quella di cambiare paradigma».


Eppure la parola cambiamento è una delle più usate ed abusate. Soprattutto dalla politica. Allora aveva ragione Tommasi di Lampedusa quando nel Gattopardo fa dire a Tancredi, il nipote prediletto del princope Fabrizio Salina: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”?


«Guardi, noi siamo, almeno dal 1992, nel bel mezzo di una rivoluzione per non cambiare. Cosa fu Manipulite se non uno sconvolgere tutto per non cambiare? Questa rivoluzione per non cambiare la fece Di Pietro, poi Berlusconi ed oggi la fanno i grillini. La loro è una rivoluzione per far deragliare sul binario morto della rivoluzione per non cambiare le spinte al cambiamento che pure ci sono nella società. E le dico senza falsa modestia che quelle spinte ho la presunzione di avere in parte contribuito a causarle, quando a mie spese e mia cura compravo pagine e pagine di giornale per denunciare la rappresentazione errata e mistificata dei fatti che la società ci dà. Il cambiamento per essere vero ed efficace deve essere innanzitutto un cambiamento culturale, nel senso che ciascuno deve infrangere la barriere del proprio inconscio fittizio per dirsi quello che è davvero. E invece il dibattito sul clima, e non solo quello, riduce tutto a macchietta. La società si è condannata alla cretinaggine».


Cretinaggine! Non è troppo severo?


«Vede, la cretinaggine non è una insufficienza cognitiva inguaribile, ma è una devianza che è frutto del voler avere per forza una visione di se stessi e della realtà non veritiera. Siccome sono visioni indifendibili, nello sforzo di difenderle diventiamo dei cretini. Eppure noi possiamo guarire immediatamente dalla cretinaggine nel momento in cui si sfondano la barriere dell’inconscio fittizio e accettiamo, finalmente, di vederci per quello che siamo. Per esempio la realtà della questione climatica. Quando leggiamo sul giornale che le temperature hanno raggiunto i 48 gradi pensiamo che siano fenomeni importanti ma pur sempre locali. Invece sono fenomeni espressione di una alterazione globale. Siamo cioè in una situazione disperata che può essere modificata solo da una interruzione immediata delle cause di inquinamento. Dobbiamo in altri termini spengere il mondo».


Spengere il mondo? Il termine è indubbiamente affascinante, ma non le pare che sia un obiettivo irrealizzabile? Fermare macchine, industrie, aeroplani….


«Secondo me questa è la sola speranza. Io credo che il grosso del problema sia rappresentato dal quantitativo di inquinamento che noi lanciamo nell’atmosfera ogni giorno. Ecco se si riuscisse a spengere il mondo e far ripartire i vari settori solo dopo che li si sarà resi non inquinanti noi conseguiremmo un vantaggio innegabile per invertire il percorso che rischia di portare il pianeta verso l’autodistruzione».


Fermare le industrie inquinanti. Ma i lavoratori, pensiamo all’Ilva, che fine fanno? Chi li paga?


«Il cambiamento si può realizzare solo se si abolisce il signoraggio. Con i soldi del signoraggio, milioni e milioni di euro che oggi finiscono nelle tasche del sistema bancario, si può tranquillamente finanziare l’interruzione delle attività inquinanti e pagare i lavoratori impiegandoli in attività funzionali alla riconversione industriale».



Scusi Marra, come si fa a convincere le persone e i decisori politici a una scelta così estrema?


«Basta un ceffone di quelli secchi. Le mie consapevolezze sono il frutto di quella che ho definito la scoperta antologia. Una sera del 1984 mi sono accorto d’un tratto di essere vissuto in un modo di valor antologici, cioè banalmente tratti dalle antologie della letterature, e quindi di avere una idea di me e degli altri che era semplicemente l’idea che mi ero voluto per forza creare e che avevo poi voluto imporre alle persone. In quel momento ho rinunciato a questa idea antologica e ho accettato di vedermi e di vedere le cose e gli altri per quello che erano realmente. Questo mi ha cambiato in maniera profondissima in un attimo. Ed è, credo, quello che sta per accadere all’intera umanità a causa della gravità dei fenomeni climatici. Un viadotto crollato ha bloccato un pezzo del paese. Se ne cadesse più d’uno – e con il dissesto idrogeologico e le piogge intense è una eventualità con cui fare i conti – se ne cadessero dieci cosa succederebbe? Allora è il caso di svegliarsi prima che sia troppo tardi. Qui non serve una particolare intelligenza, occorre onestà intellettuale per vedere le cose».



Il punto forse è che chi governa non vuole vedere e soprattutto non vuole fare vedere.


«Nel 1985 scrissi che Andreotti era sì un genio, ma nell’arte di naufragare, di galleggiare all’infinito. Un genio del nulla. Pero attenzione, non è che io pensi che il potere sia cattivo e la massa sia buona. Tutt’altro. Il mio ultimo libro si intitola “Il problema è che fa schifo la gente”. Non è vero che la gente è influenzata dai media, è la gente, al contrario, che influenza i media. La “mente collettiva” non è mai stata ingenua, ma dall’avvento dei media è diventata consapevole di tutto e furba fino alla perversione. Sento dire spesso: “non bisogna generalizzare”. E invece bisogna generalizzare, bisogna avere il coraggio di censurare la società e i suoi mali».


E quale sarebbe la radice del male?


«La radice del male, come scrivo nel mio libro, è insita nel fatto che l’umanità, resa psicotica, conservatrice, opportunista, viziosa dal consumismo (altrimenti irrealizzabile) ha terrore dell’impegno, della generosità, della positività necessari per il cambiamento che occorre per fermare la catastrofe climatica».


Marra lei ha avuto una esperienza politica come europarlamentare. Che insegnamento ne ha ricavato? A sentirla non ha molta stima della classe politica, sia quella attuale sia quella passata.


«Ho fatto il politico dall’89 al ’99. Sono stato candidato in Forza Italia all’insaputa di Berlusconi che altrimenti non mi avrebbe mai candidato e sono stato eletto malgrado lui e malgrado Forza Italia. Sono stato 5 anni parlamentare europeo, ho fatto moltissime cose (ho scritto, ad esempio, la legge sulle etichettature dei prodotti agricoli e ittici nella vendita al dettaglio) ma la verità è che il parlamento europeo non ha potere di iniziativa legislativa e soprattutto non ha il potere di promulgare le leggi che vota».


Prima citava Andreotti, genio nell’arte di naufragare. Oggi abbiamo Di Maio e viene da rimpiangere perfino Andreotti.


«Non mi faccia parlare dei Cinque stelle. La classe politica ha la mia completa disistima, ma questi li disprezzo proprio. E a dirla tutta disprezzo ancor di più chi li ha votati. E’ tutta colpa di Marx».


Che centra il filosofo di Treviri con il politico di Pomigliano?


«C’entra. Vede, l’ideologo deve precisare bene tutto e capire le conseguenze delle cose che dice. Marx, per non aver fissato dei paletti, ha gettato le basi di un egualitarismo totalmente errato. Gli uomini sono uguali dal punto di vista dei diritti ma non certo dal punto di vista delle qualità».


E’ la democrazia bellezza, direbbe qualcuno.


«Si è affermata una errata rivendicazione del diritto ad esprimersi. Quando ero eurodeputato ricordo ci fu una discussione sui tempi degli interventi dei parlamentari. Ho chiesto la parola e ho proposto l’abolizione di ogni limite temporale agli interventi chiedendo di stabilire altri limiti ovvero che ciascuno potesse parlare anche all’infinito purché dicesse cose nuove e rilevanti».


E la reazione quale fu?


«Nemmeno li avessi chiamati figli di buona donna. Insorsero come un solo uomo contro la mia proposta. La situazione rispetto ad allora è solo peggiorata».


Giampiero Cazzato

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