Anna Mazzamauro è un volto noto al grande pubblico per aver interpretato il personaggio della signorina Silvani nella serie di film sul ragionier Ugo Fantozzi di Paolo Villaggio. Oltre alla sua vasta attività cinematografica e televisiva, l’attrice porta con passione avanti da decenni la sua carriera teatrale, che l’ha vista cimentarsi in lavori su testi fondamentali come il “Cyrano de Bergerac” di Edmond Rostand o “La locandiera” di Carlo Goldoni. La Mazzamauro è intervenuta ieri sera come madrina d’onore dello spettacolo “Solo una prima” organizzato al Teatro della Concordia di Monte Castello di Vibio, in provincia di Perugia, dalla Onlus “Oggi per un domani”, creata da Gianni Sandonà per sostenere attraverso il teatro e altre attività i ragazzi diversamente abili nel territorio umbro. Anna Mazzamauro ha gentilmente concesso a Spraynews questa intervista prima di salire sul palco, intervenendo allo spettacolo a cui erano stati invitati tutti i sindaci dei 92 comuni dell’Umbria. L’attrice ci racconta le motivazioni che l’hanno portata ad accettare l’invito di Gianni Sandonà, ma ci parla anche di sé, e del valore che la recitazione per lei ha sempre avuto, quello di insegnarle a vivere la propria diversità con libertà, essendone orgogliosa e sfidando il mondo.
Anna Mazzamauro, che emozioni le dà essere la madrina d’onore di questo evento?
«Partecipare a questo evento per me è stata una bella scelta. Di fronte alla proposta di Gianni Sandonà di partecipare, non direi come madrina ma piuttosto come ospite, avrei potuto rifiutare dicendo che avevo da fare. Invece avendo intuito e sperando di capire fino in fondo il senso di questo evento, per la prima volta in vita mia ho deciso di compiere un atto che non vorrei definire “sociale”, ma piuttosto culturale nel senso vero della parola, dove per cultura non intendo sapere quando è nato Garibaldi, quanto piuttosto entrare in un’empatia particolare con il pubblico, e avere una comprensione profonda del significato di questo spettacolo».
Questo poi sarà un pubblico speciale, trattandosi dei sindaci dell’Umbria.
«Di sicuro questo sarà un pubblico molto particolare. Mi lasci dire che io ce l’ho un po’ con i sindaci dell’Umbria perché non vogliono mai i miei spettacoli. La mia produzione manda sempre a tutti i teatri d’Italia le note dello spettacolo che abbiamo allestito, comunicando l’intenzione di fare una tournée. Noi andiamo persino al teatro Piccolo di Milano, ma l’Umbria neanche risponde. Mi viene quasi da chiedermi: “Forse gli sto antipatica?”. Io sono stata a Massa Martana, in provincia di Perugia, per dieci anni. Avevo un casale meraviglioso e sono stata circondata da persone magnifiche. Gli umbri sono un po’ come i panorami della loro terra, sono ricchi, severi e coerenti. Se dicono si è si, se dicono no è no, gli umbri e l’Umbria sono belli e non hanno bisogno di ostentarlo. Ci tenevo a comunicare questo disappunto proprio per il legame che ho con questa regione, ora possiamo tornare a parlare dell’evento».
Secondo lei qual è il senso profondo di questo spettacolo?
«La prima cosa che è importante dire è che Sandonà ha dato vita a questo evento in maniera generosa, e che io sono felice di aver scelto di esserci. In secondo luogo bisogna considerare che l’argomento di questo evento è molto delicato. Qualsiasi parola si usi rischia o di appesantire o di alleggerire troppo l’argomento. Bisogna trovare il giusto equilibrio che non può essere di partecipazione totale, perché io questa sera sarò soltanto spettatrice e ospite. Eppure desidero, proprio per il lavoro che faccio, avvicinarmi culturalmente, avere empatia, tentare di capire, di comprendere con il giusto rispetto una realtà come questa. Il mio lavoro si fonda sull’invenzione, sei quasi sempre su un palcoscenico dove ti inventi e racconti personaggi usando prevalentemente la fantasia, e quando sei sul palco non hai la responsabilità del personaggio che stai vivendo, che resta lontano, distante. In questo caso invece io non sono né un personaggio né ho partecipato realmente al tipo di vita che sperimentano queste persone. Questa sera parteciperò a un evento dove proprio questo termine, vita, è centrale. È proprio a questo che bisogna appigliarsi, credo. Io partecipando a questo evento sto imparando tante cose, sto imparando a usare le parole giuste, delicate, di cui non voglio abusare. Come ti dicevo non credo sia casuale che mi sia venuto spontaneo usare il termine vita, perché è di questo che stiamo parlando, è proprio questa vita che oggi dobbiamo accostare e rispettare. Gianni Sandonà nella presentazione dell’evento ha parlato della verità, anche in relazione a una mia intervista in cui affrontavo l’argomento, io non sento di detenere nessuna verità, la sto cercando da sempre e probabilmente non la troverò mai, però ci tengo a dire che questa secondo me è una serata dedicata alla libertà, la libertà di vivere la propria diversità come ti pare, sfidando il mondo. Penso che questo sia il senso profondo di questo evento».
Il teatro aiuta in questo?
«Io parlo così proprio perché io stessa sono una diversa, mi sento una che va oltre le regole, sia fisicamente che psicologicamente. Mi sono sempre sentita atipica, non brutta. Associo il brutto ad altre cose come oscenità e volgarità, io mi sento atipica da quando sono piccola, e tento da sempre di far rispettare questa mia atipicità. Sono stata e sono tuttora una guerriera che si è dovuta far strada in un mondo, quello dello spettacolo, dove tu vinci inizialmente soltanto se sei bella. Io ho dovuto convincere gli altri che si poteva vincere anche in modo diverso, fin dall’asilo mi sono sentita una ribelle verso il concetto di tipicità. In questo il teatro è un alleato eccezionale, perché mi ha sempre dato e continua a darmi una possibilità preziosa: quella di poter sfogare le mie emozioni attraverso i personaggi. Nelle lacrime di un personaggio io posso piangere le mie sentendomi però protetta, posso ridere ferocemente usando sempre lo stesso alibi: non sono io che rido ma il personaggio. Il teatro ti da la possibilità di manifestare le emozioni, una cosa rara di cui non sempre si ha la possibilità nella vita reale. Il palcoscenico aiuta in questo senso, anche se per arrivare a questa libertà ci vuole una vita di applicazione, costanza e studio. Attraverso la recitazione smuovo le mie emozioni, le manifesto, me ne libero soprattutto, per me è una specie di seduta psicoanalitica. Quando finisco uno spettacolo mi sento felicemente svuotata e sorrido a me stessa. Non c’è niente di più appagante per me».
Secondo lei cosa può dare il teatro ai ragazzi di Oggi per un domani?
«I ragazzi questa sera sul palco potranno provare tante emozioni, e avranno la possibilità di liberarsi da tante cose. La mente è uguale per tutti, e forse a volte c’è una specie di sipario che separa la nostra mente dagli altri. Se questi ragazzi facendo teatro alzeranno questo sipario allora potranno esprimere la loro eccellenza, potranno entrare in connessione col pubblico ed essere aiutati a percepire il mondo in modo diverso, e soprattutto a lasciarsi vedere in un modo diverso. È qui che entra in gioco la diversità. Il recitare sul palcoscenico provoca la libertà di essere diversi, quasi fino ad annullare questa parola. Cosa vuol dire essere diversi, che non sono come te? Io quando recito ogni sera provo quello che sicuramente proveranno sul palco questi ragazzi dichiarati diversi, e se loro recitando provano le stesse emozioni che provo io significa che siamo uguali. Questo è il vantaggio e lo splendore del palcoscenico. Il teatro darà a questi ragazzi la possibilità di incanalare le loro parole interiori più profonde attraverso i personaggi che interpreteranno, e questo darà loro la possibilità di regalare emozioni e di riceverne, che è la vera meraviglia del teatro».
Lei è diventata famosa recitando nei tanti film su Fantozzi di Paolo Villaggio. Il senso di quei film stava proprio nella valorizzazione della fragilità dell’uomo comune?
«Fantozzi stesso era un diverso. Veniva sempre preso in giro da tutti ma aveva una sua verità. Questo è un suo punto importante. Perché ha avuto successo Fantozzi con tutti i suoi personaggi intorno? Perché siamo tutti un po’ così, siamo tutti unici e quindi in un certo senso diversi.
Penso che la diversità di Fantozzi fosse un suo aspetto importante, che andrebbe maggiormente colto e messo in evidenza».
Di Giacomo Meingati
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