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L'escalation di tensione tra Francia e Italia figlia del seme della discordia a tinte gialloverdi



La risposta francese all'incontro andato in scena tra Di Maio e una delegazione della lista "Ric" dei gilet gialli (per altro disconosciuta dalla base francese che fa capo a Ingrid Levavasseur) non si è fatta attendere e colpisce dritto al cuore di uno dei temi più sentiti nella politica tricolore: la Francia non accoglierà più la sua quota di migranti sbarcati dalla Sea Watch a Catania dopo il caso diplomatico degli scorsi giorni. Ad affermarlo è direttamente il Viminale, che tramite una nota ha reso pubblica la volontà di Parigi di accettare «solo persone che hanno bisogno di protezione e non migranti economici e ha aggiunto che appoggerà l'Italia per chiedere rimpatri più efficaci in alcuni paesi africani a partire dal Senegal». Un cambio di rotta repentino e improvviso che certamente contribuisce ad alimentare la polemica crescente tra i due Paesi, ai minimi storici in quanto a rapporti dai tempi della guerra. In un clima da campagna elettorale che si fa sempre più feroce, con l'asse franco-tedesco a fare da baluardo europeista contro il dilagante fenomeno sovranista che fa dell'Italia un esperimento sociale ancora in fase di studio da parte del resto del continente, le due opposte visioni del mondo si apprestano a raggiungere il traguardo senza alcuna esclusione di colpi. E se dalle nostre parti sia Di Maio che Salvini insistono nel separare "il popolo francese" da chi li governa, incensando i primi (attribuendogli addirittura tradizioni di democrazia millenarie) e attaccando i secondi, quando per violazione delle regole sul deficit, quando per rinfacciare politiche neocolonialiste, da Oltralpe si cerca di minimizzare e ridurre gli improperi italiani a bazzecole da banchi di scuola delle elementari. Intanto, con la decisione di richiamare a Parigi l'ambasciatore a Roma per consultazioni, il Presidente francese Macron ha di fatto aperto una crisi diplomatica che chiedeva soltanto di esplodere: «Le battute di Di Maio e Salvini non hanno evitato all’Italia di entrare in recessione», la stilettata giunta dal portavoce del governo Benjamin Griveaux che fa da eco a quelle del Ministro per gli Affari europei Nathalie Loiseau secondo cui il governo di Macron non condivide «le stesse scelte politiche della Lega di Matteo Salvini o del Movimento 5 Stelle di Luigi di Maio. Ma ognuno faccia prevalere la preoccupazione per gli affari del proprio Paese, del benessere della propria popolazione e di fare in modo di avere buone relazioni con i vicini», un invito cortese ai sovranisti a pensare ai problemi di casa loro, non esattamente il massimo tra cugini. Ammonimenti e rimbrotti che rimbalzano da un'alpe all'altra e che sin qui hanno sortito il solo effetto di indebolire i rapporti con lo storico partner commerciale e con la nazione storicamente e culturalmente a noi più legata.


Ma i danni più concreti, i primi che potrebbero derivare da questo muro contro muro, hanno ricadute non certo trascurabili sull'assetto economico e industriale italiano: dalla questione della cessione dei cantieri di Chantiers de l'Atlantique (ex Stx) a Fincantieri nell'ambito di un'operazione che prevedeva la nascita di un polo paritetico franco-italiano, data per certa nemmeno un anno e mezzo fa e ora tornata in discussione proprio per voce di quella Francia (seguita a ruota dalla Germania) che aveva sottoscritto l'accordo per dare vita a «un campione mondiale nel settore navale, civile e militare», sino alla scelta di Air France di sfilarsi dalla corsa per il salvataggio di Alitalia per «motivi politico-istituzionali». Anche e soprattutto nel settore bancario è forte la presenza francese nel suolo italiano, con i colossi Bnp-Paribas e Crédit Agricole che possono vantare una valenza massiccia in tutto il settore dei servizi bancari, dal credito di consumo al risparmio. Anche il settore del lusso, così come quello energetico, manifestano una interdipendenza tra interessi nostrani e francesi. Al contrario, avrebbe molto meno da perdere la Francia in caso di rottura definitiva, vista la ben minore presenza di investitori italiani sul suolo transalpino.


di Alessandro Leproux

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