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L'esecutivo appeso alle crisi…di nervi: se la maschera di Zorro non risolve le questioni di governo

Niente di più azzeccato di un maggio inzuppato di pioggia e freddo per descrivere un governo che fa acqua da tutte le parti. Questi ultimi scampoli prima del voto delle Europee fotografano un paese con il fiato sospeso, spossato da una campagna elettorale perpetua dal 4 marzo, confuso da una narrazione politica senza precedenti, con una maggioranza spaccata peggio delle opposizioni che faticano ad emergere in un dibattito totalizzato dalle forze gialloverdi. Un Paese tirato per le maniche da questo o quell'altro vicepremier e in cerca di una sua normalità, che ci assicurano tornerà a regnare già dal 27 maggio, a conferma che quelli che stiamo vivendo (e abbiamo vissuto) sono giorni di ordinaria follia.



Ne sa qualcosa il leader della Lega, che si avvicina al traguardo con il paniere bello carico di voti e sembra averne per tutti tra frecciate e bordate vere e proprie. Tra dirette social e apparizioni televisive sapientemente scelte tra quelle più "comode" (niente Fazio o Formigli, per intendersi), il ministro degli Interni si appresta a raccogliere i frutti di una macchina comunicativa che, comunque andrà (e probabilmente andrà), è stata il vero fattore, il motore primo che ha portato la Lega a mangiarsi letteralmente l'alleato di governo in pochi mesi di convivenza. Dietro a quel 30% (punto più punto meno), soglia impensabile poco più di un anno fa, si nascondono tutti gli sforzi del partito che ha fagocitato tutto ciò che gli si presentava a tiro (alleati del cdx, alleati di governo) e che si è preso una grande fetta del Paese con una retorica tanto superficiale quanto incisiva. Regina di questa narrazione la questione migratoria con cui Matteo Salvini ha potuto mostrare i muscoli sulla pelle di migliaia di "senza voce" e presentare come inequivocabile risultato della "politica dei fatti" il disastro umanitario che imperversa tra le coste dell'Africa e il Mediterraneo. Una partita giocata sui nervi, che ieri sono però saltati, e hanno creato le condizioni per il primo vero autogol mediatico infilato dal Capitano, soprannome con cui Salvini spopola nelle corti di twitter e facebook. Dietro lo sbarco dei migranti a bordo della Sea Watch 3, autorizzato in serata dalla Procura di Agrigento del "ribelle" Luca Patronaggio, c'è tutta la contraddizione su cui poggia la tesi salviniana della gestione del problema, che lui dice risolvibile solo nel rispetto della legge. La stessa legge, che in virtù dell'emanazione del suo decreto sicurezza, ha obbligato la Procura ad autorizzare lo sbarco dei 47 a Lampedusa, per mettere in moto la macchina degli accertamenti che precedono il sequestro della nave della ong, per l'appunto invocato dal provvedimento stesso. Un corto circuito che ha visto per un attimo impreparato il titolare del Viminale, furioso e poco lucido, mentre attaccava prima l'incolpevole collega e titolare dei Trasporti Danilo Toninelli per poi chiudere con la ben più popolare chiosa contro la magistratura politicizzata e che addirittura favorirebbe l'immigrazione clandestina e le organizzazioni criminali alle sue spalle. Un pot-pourri grottesco quanto surreale, se si pensa che chi ne è l'artefice dovrebbe conoscere a menadito le procedure a monte dei provvedimenti da lui stesso emanati (nei rari frangenti tra un comizio elettorale e l'altro). Niente di non recuperabile se non fosse soltanto la cima di un iceberg che avanza minaccioso. C'è un rapporto logoro con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, additato di partigianeria in seguito al caso Siri, in barba alla più minima considerazione dell'etichetta che esigerebbe quanto meno il rispetto istituzionale per il ruolo. Ci sono le scaramucce, diventate ormai pane quotidiano, con i 5 Stelle e il suo capo politico, un tira e molla di accuse, rimbrotti e liti rattoppate alla bell'e meglio. C'è il continuo e vicendevole rinfacciarsi le rispettive debolezze che, anziché compattare il governo sui pochi temi comuni, lo sfibra e ridicolizza davanti alla platea internazionale. E, ben più importante, ci sono i conti. Conti in rosso e che non tornano, stime che da ottimistiche si fanno tombali e che, alla fine di tutto, potrebbero rappresentare il vero movente dietro alla morte prematura dell'esecutivo pentaleghista.


L'oggetto dello scandalo dell'ultimo Salone del libro di Torino, quel libro-intervista che ha come soggetto il ministro degli Interni ed è edito dalla casa editrice più nostalgica che abbiamo, ci racconta, nelle prime righe dell'introduzione firmata dall'autrice, che oltre ad essere «l'uomo più desiderato dalle donne dello Stivale, anche, di nascosto, da quelle di sinistra», il leader leghista è uno che la vita la sa prendere per le corna, uno che ha capito come gira il mondo, uno che «di ingiustizie ne ha subite tante». Chissà se dietro a quel torto subìto, il furto del pupazzo di Zorro, antica cicatrice dei famigerati anni dell'asilo mai del tutto rimarginata, si celi la ragione prima che l'ha spinto verso la politica o se quella di mascherarsi e combattere il crimine come "Diego de la Lega" (i social sanno essere anche un luogo fantastico) sia una velleità postuma. Di sicuro questi mesi in sella l'avranno convinto che gli slogan, per quanto efficaci, non superano mai la realtà e che il 26 l'elettore si aspetta di vincere l'Europa e non di "vincere Salvini".


di Alessandro Leproux

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