La prima tirata d'orecchie istituzionale giunse poco più d'un mese fa e a provocarla fu un eccesso di zelo (o mania da social per qualcun altro) del Ministro degli Interni e vicepremier Matteo Salvini, che nell'informare la platea del successo di un intervento delle Forze armate contro un'associazione criminale di nigeriani a Torino, operazione che era in realtà ancora in via di definizione, rischiò di pregiudicarne la riuscita. Oggi, in occasione del convegno promosso da AreaDg, l'associazione delle toghe progressiste, il procuratore di Torino (ormai in pensione) Armando Spataro ha assestato il colpo che ha di fatto aperto il secondo round nel duello a distanza con il leader del Carroccio. L'oggetto, è il sempre più discusso decreto Sicurezza firmato da Salvini e osteggiato prima dai sindaci poi dai governatori "rossi". Una legge che Spataro definisce colma di «passaggi che non sono compatibili con la normativa generale e con i principi internazionali. Questi rilievi sono anche contenuti nel comunicato stampa del presidente della Repubblica». Seppure senza mai nominare apertamente il capo politico della Lega, l'ex toga della Procura di Torino non dà freno alla lingua e mette in chiaro come, a suo avviso, la comunicazione portata avanti dalla maggioranza nello spinoso e delicato tema delle migrazioni, sia «una modalità inaccettabile», contraria ai principi internazionali. Per Spataro, non si possono «accettare frasi come è “finita la mangiatoia”,“è finita la pacchia”». Una «modalità» definita «inaccettabile, che si completa con la famosa frase “chi critica scenda in politica”». Due mondi opposti che confliggono, quello degli slogan e quello delle argomentazioni e il rischio, secondo l'ex Procuratore, è di non distinguere più i contorni della realtà, giuridica e sostanziale, proseguendo sulla scia del linguaggio politico di oggi. Ma non si è limitato alla critica. Nel corso del suo intervento, Spataro ha tracciato la via per quella che lui definisce «resistenza civile». Tra il provocatorio e l'irrisorio, l'ex Procuratore del capoluogo sabaudo ha dato il suo endorsement al cantautore e presentatore romano Claudio Baglioni, finito anche lui in polemica con le politiche del Viminale e rimasto vittima del tritacarne dei social per delle prese di posizione che il popolo del digitale ha, in buona parte, malamente digerito. «Diventiamo tutti sostenitori di Baglioni e guardiamo il Festival di Sanremo». E allora eccolo il secondo schiaffo di Spataro, che se non sarà destinato a rivaleggiare, in quanto a celebrità, con il suo omonimo di Anagni, quanto meno sortirà l'effetto (maliziosamente premeditato) di mandare fuori dai gangheri il Ministro degli Interni. «Basta con la caccia al migrante, le parole pesano come pietre, la sicurezza è un diritto fondamentale e un dovere per chi governa il Paese ma deve essere esercita nei limiti e compatibilmente con i principi sui cui la nostra democrazia come altre si regge». Resistenza civile, appunto, che la parola ferisce più della spada, se lo spadaccino in questione ci sa fare.
di Alessandro Leproux
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