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L'infettivologo Ferretti: «Artemisia Lab con i lavoratori per il protocollo per la ripartenza»


«Per le aziende rappresenta un punto di partenza importante per riprende in sicurezza l’attività ed evitare che si possa rimettere in moto la spirale dei contagi». A spiegare a Spraynews il protocollo “Ripartenza. Per guardare al futuro con serenità”, ideato da Artemisa Lab in collaborazione con altri centri di ricerca e con l’Università degli Studi di Tor Vergata, è il professor Giancarlo Ferretti, per venti anni responsabile di tutta la componente infettivologica del centro trapianti del Policlino Umberto I. Il professore aveva compiti di valutazione pretrapianto dei pazienti e la gestione delle infezioni nella fase post trapianto oltre ad essere membro permanente delle commissioni per immissione in lista di trapianto per fegato, rene, rene-pancreas e polmone. «Un lavoro impegnativo e entusiasmante che ci ha permesso di ridare speranze e un sorriso da tantissime persone» ci spiega. Oggi, che è andato in pensione, Ferretti presta le sua competenze professionali presso i Centri Artemisia. Ed è stato chiamato ad far parte del team che gestirà il protocollo “Ripartenza”. Protocollo che avrà anche il supporto di una piattaforma tecnologica e di un software per smartphone o tablet che permetterà di monitorare i lavoratori. Ci racconti come nasce “Ripartenza” professore?

«Nasce dall’esigenza di offrire alle aziende e ai professionisti gli strumenti per monitorare e prevenire la diffusione del virus prima del ritorno in azienda e durante l’attività lavorativa. Attraverso lo screening sierologico e la rilevazione della temperatura corporea si potranno individuare in modo predittivo i lavoratori da sottoporre ad ulteriori accertamenti, evitando il contagio nelle attività lavorative. La nostra interfaccia in azienda è il medico competente. Sarà lui - sulla base di alcuni parametri fisici e biochimici evidenziati con il supporto di un software web e un’applicazione per telefoni cellulari - ove, sospettasse una infezione da Covid-19 ad indirizzare il lavoratore presso i Centri Artemisia presenti sul territorio di Ro-ma. Debbo dire che in questo protocollo sono state messe assieme le migliori competenze sia in campo medico scientifico che nel capo dell’high tech». Il compito specifico di Artemisia Lab in cosa consiste? «Artemsia si occupa dei test sierologici, in cui verranno utilizzate due differenti metodiche per la ricerca di anticorpi IgM e IgG anti-SARS-CoV-2, che evidenziano la risposta immunitaria da parte del nostro organismo. Mette poi a disposizione delle aziende e dei dipendenti che si rivolgeranno ai nostri centri degli specialisti come il sottoscritto che è un infettivologo, ma anche un pneumologo, oltre, ovviamente, gli esami strumentali, dalla radiografie alle Tac, per accertare le patologie in atto». Perché due metodiche professore? «C’è un grossa discussione sulla attendibilità delle varie metodiche. Questo perché noi abbiamo a che fare con una epidemia che è si è diffusa nel giro di pochi mesi. Per capire come si comportano e si sviluppano i virus e per individuare le terapie migliori ci si mettono generalmente anni. Questa epidemia è estremamente diffusiva e colpisce un po’ tutti, ecco perché abbiamo avuto una gran fretta di mettere a punto di test sierologici per capire se un paziente è stato infettato o meno. Le due metodiche che noi utilizziamo sono entrambe valide. Con i test si determina la eventuale presenza di anticorpi. Il punto da sottolineare è che ad oggi non sappiamo quanto questi anticorpi siano neutralizzanti o meno». Che è praticamente la discussione se si è immunizzati o meno una volta che si è contratto il virus? «Esatto. Chi fa una infezione da morbillo sviluppa anticorpi che per tutta la vita lo coprono. Nel caso del Covid-19 i dati ci dicono che in alcuni casi vi è stata una nuova infezione negli stessi soggetti». Il che non dà garanzie certe sul vaccino? «I tempi del vaccino saranno lunghi, ci vorrà del tempo. D’altronde un vaccino per essere somministrato deve essere sicuro, efficace e non deve avere effetti collaterali. Ecco perché in questa fase è fondamentale capire all’interno di una comunità lavorativa, e non solo, chi ha avuto il contagio, quanti sono gli asintomatici e quanti hanno contratto il virus negli ultimi mesi dello scorso anno quando Covid-19 circolava già». Professore è da mettere in conto che con la fase 2 vi sarà un aumento dei contagiati? «Diciamo che questo è il momento più delicato. In questi mesi è stato fatto un grosso lavoro per circoscri-vere l’infezione e i risultati ci sono stati e, nel caso di Roma e del Lazio, sono stati ottimi. Adesso non si deve compromettere il lavoro fatto. Guai a pensare che è tutto finito e che il peggio è alle spalle. Non bisogna abbassare le difese ma continuare, ad esempio, ad usare mascherine e guanti che sono le difese più banali ma allo stesso tempo le più efficaci». Dunque, se non capisco male, il protocollo “Ripartenza” è immaginato per un periodo non breve. «Sicuramente dovrà andare avanti per diversi mesi, se non proprio per un anno. Il monitoraggio deve proseguire almeno fintanto che non sarà messo a punto un farmaco attivo e poi un vaccino valido e che offra garanzie nel tempo». Nell’ideare “Ripartenza” con chi si è interfacciata Artemisia? Con la Regione Lazio, con cui c’è stato un dialogo continuo in tutta la fase di messa a punto del protocollo, e con l’Università di Tor Vergata oltre che con altri centri di ricerca medico-scientifica e con l’azienda che ha lavorato sulla piattaforma informatica. Sono davvero soddisfatto del lavoro di squadra che c’è stato. Non sono cose che capitano tutti i giorni».

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