Il giorno dopo la fumata nera del lungo consiglio dei ministri, in cui Salvini e la Lega speravano di vedere approvata la bozza del decreto Sicurezza-bis, porta con sé gli strascichi del mancato successo. Mentre il firmatario del documento, il ministro degli Interni Matteo Salvini, si trovava a Bari per il tour elettorale in vista della prossima tornata europea, ci ha pensato il fedelissimo, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, a mantenere alta l'asticella della tensione nella compagine gialloverde. Dopo l'aperto attacco degli scorsi giorni al premier Giuseppe Conte, sempre più (pubblicamente) considerato l'uomo dei 5 Stelle, oggi, in occasione di un incontro con la stampa estera, il cardinale in sella al partito dal lontano '96, ha ribadito senza mezze misure il segreto di Pulcinella: «Non c'è nessuna accusa ma è una semplice constatazione. Il premier deve essere politico, super partes c'è solo il presidente della Repubblica. Conte è espressione del M5S, io della Lega». Nulla di nuovo dal fronte, non fosse che un conto è sentirle pronunciare dall'altra parte della barricata, queste parole, un conto se a rivelarle con limpidità è l'uomo forte nel Carroccio, l'unico in grado di dettare la linea a Salvini e a rendere in concetti politicamente accettabili le sue posizioni oltranziste.
Per Giorgetti, che si ostina comunque a difendere l'operato del governo – «al netto delle ultime tre settimane», in una sapiente alternanza di bastone e carota – «se c'è un governo del cambiamento deve farlo e non vivere di stallo, deve fare le cose. Faccio questa riflessione dopo settimane in cui il governo ha avuto problemi. Non accuso nessuno, tantomeno il premier, ma così non si può andare avanti, senza affiatamento». E non è solo la Sicurezza e il rinnovato pacchetto in attesa di approvazione a portare così allo scoperto il bocconiano leghista: pesano le scorie sul caso Siri e sull'atteggiamento dei grillini nei riguardi degli indagati in casa Lega, c'è un'autonomia tutta da sviscerare e ancora in alto mare e non ultimo il capitolo Tav, soltanto riposto in un cassetto in attesa di tempi migliori.
Questioni più "alte" occupano i pensieri del vicepremier in quota Lega, preoccupato a rispettare la scure del pronostico che ormai da qualche mese lo vede come mattatore delle prossime elezioni Europee: con un partito al 17% soltanto un anno fa, sembra assurdo pensare che un risultato sotto il 30% possa essere vissuto come un fallimento, ma la volatilità del consenso è anche questo. E per questo ogni voto è prezioso e se per accaparrarseli serve qualche raccomandazione alla Santa Madonna o all'elettorato ultracattolico, si fa tutto in nome della causa. Salutando la platea mista di contestatori e sostenitori che l'hanno accompagnato nel suo giro della Puglia, Salvini ha anche ribadito di avere un appuntamento romano, dove, sua speme, attende l'approvazione della bozza del Sicurezza-bis: «Il decreto è pronto, conto che possa essere presto approvato. Non lo fisso io il Cdm, io sono pronto, sono a Roma oggi e domani, se mi si convoca son contento. Rispetto pienamente i suggerimenti che arriveranno anche dal presidente Mattarella».
È proprio attorno alla figura del Presidente della Repubblica che si annidano le speranze grilline di non vedere partorito il provvedimento almeno fino al dopo voto. Pura speculazione politica se si considera che già al momento della promulgazione del primo pacchetto Sicurezza, il presidente Mattarella avesse – fatto pressoché unico – allegato una lettera di richiamo al governo dall'astenersi da condotte lesive dei principi costituzionali e del diritto internazionale. Oggi tutte quelle perplessità sono improvvisamente diventate proprie anche della squadra di Di Maio, che esprime solo parole di venerazione per il Capo dello Stato, che avrebbe volentieri portato a processo per alto tradimento soltanto qualche mese fa. In realtà le perplessità del Quirinale sull'ulteriore stretta a Ong e migranti, spinose sul piano del diritto internazionale e su quello della costituzionalità, restano invariate. Voci di corridoio affermano che, in occasione del lungo cdm scorso, siano stati fatti tagli e limature sui punti più controversi (multa da 10 a 50mila euro per chi soccorre in mare in violazione delle direttive impartite dai centri d'autorità Sar) per venire incontro ai rilievi del Capo dello Stato. Tesi per altro scongiurata proprio dallo stesso Salvini, che oggi confermava: «se infrangi le leggi in mare paghi una multa come se passi col rosso. Se non rispetti le leggi ti sequestro la barca». Dubbi di competenze e attribuzioni riguardano il secondo articolo del Sicurezza-bis, che conferirebbe più potere al Viminale, a discapito degli altri ministeri competenti (Infrastrutture e trasporti e Difesa), per “limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili o unità da diporto o di pesca nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica”. Anche l'inasprimento delle sanzioni nei confronti dei reati di “devastazione, saccheggio e danneggiamento, commessi nel corso di riunioni effettuate in luogo pubblico o aperto al pubblico”, che andrebbe a modificare il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, pur avendo riscontrato un sostanziale placet dal mondo politico, presenta problematiche attuative.
Oggi il premier Giuseppe Conte ne ha discusso per un'ora e mezza con Mattarella nel corso della sua visita al Quirinale, un pranzo istituzionale per trovare la quadra o – per i più maliziosi – per tentare una via politica che argini l'ascesa leghista. Secondo Di Maio, infatti, se davvero l'exploit della Lega dovesse concretizzarsi con un superamento della soglia del 30%, tutti i buoni propositi di riprendere il cammino a braccetto dopo le Europee sarebbero fumo negli occhi e lo spettro, mai troppo tale, di una crisi che riporti il paese al voto o che lo consegni alla più canonica coalizione del centrodestra, potrebbe tornare a bussare insistentemente.
di Alessandro Leproux
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