Tra gli effetti del mancato accordo tra l’Unione Europea e la Gran Bretagna in vista della brexit, uno in particolare ha interessato la tornata elettorale europea del 26 maggio, dove l’Italia si è ritrovata a eleggere settantasei eurodeputati anziché settantatré, tre dei quali però di “riserva”, che entreranno a far parte del nuovo Parlamento soltanto quando verrà formalizzata l’uscita degli inglesi.
A stabilire i criteri con cui sono stati identificati i tre deputati – che insieme ad altri ventiquattro di tredici diverse nazioni rimpiazzeranno i settantatré rappresentati britannici uscenti, portando così il numero definitivo di deputati a 705 – si è espresso lo scorso 21 maggio l’Ufficio elettorale nazionale presso la Suprema Corte che, come riporta il comunicato stampa emesso, ha individuato i tre candidati rispettivamente nei collegi Nord-Est, Centro e Meridione (uno per Fdi, uno per la Lega e uno per Fi) sulla base dei «seguenti criteri: a) individuazione delle tre liste che a livello nazionale hanno ottenuto seggi con i minori resti utilizzati o, in mancanza, con i minori resti non utilizzati; b) sottrazione ad ognuna di dette tre liste di un seggio, individuato nell’ambito delle tre circoscrizioni cui è stato assegnato un seggio supplementare per effetto dell’aumento dei parlamentari da settantatré a settantasei».
Una decisione, a pochi giorni dal voto, passata per lo più inosservata, ma che ha in realtà scatenato un crescendo di perplessità e tesi contrarie, tanto sulla natura della scelta, quanto per il vizio di chi l’ha formulata.
È proprio su questo che si è articolata l’interrogazione parlamentare a firma dei senatori Udc Antnio De Poli, Antonio Saccone, Paola Binetti e Gaetano Quagliariello (IDeA), interrogazione rivolta ai ministri competenti di Interno e Giustizia, Matteo Salvini e Alfonso Bonafede. Nelle premesse del documento redatto dai senatori sta tutta la chiave del discorso: non solo la modalità di diffusione (un comunicato stampa a cinque giorni dal voto), ma soprattutto la competenza dell’organo che l’ha diffuso (l’Ufficio elettorale nazionale che, come ricorda una sentenza della Corte Costituzionale è un organo di natura amministrativa) hanno destato parecchie perplessità nel mondo giuridico. In primo luogo, secondo quanto recitato dalla Costituzione, le materie elettorali non solo sono coperte da riserva di legge, ma addirittura da una cosiddetta riserva di assemblea (riserva di legge formale) che preclude l’approvazione di leggi di tale materia direttamente alle Commissioni parlamentari e non, quindi, a un organo amministrativo costituito pressoché all’unanimità da magistrati della Corte di Cassazione. In secondo luogo, il documento pone l’attenzione sul fatto che «anche sul piano del merito la correttezza dei criteri individuati dall’Ufficio elettorale nazionale suscita non poche perplessità perché alla data di svolgimento delle elezioni per il Parlamento Europeo i seggi spettanti all’Italia sono settantatré…». L’interrogante fa leva sulla decisione Ue del Consiglio europeo del 28 giugno 2018 che, all’articolo 3, paragrafo 2 specifica che «il numero di rappresentanti al Parlamento Europeo di ciascuno stato indicato al paragrafo 1 (76 per l’Italia, ndr) è provvisorio in quanto sarà operante una volta che il recesso del Regno Unito dall’Ue sarà diventato giuridicamente efficace». Un cavillo affatto da poco, poiché i criteri con cui si sono identificati i tre deputati di “riserva”, in virtù del sistema adottato, determinano significativi spostamenti dei seggi attribuiti con i resti decimali, sia per quanto concerne le circoscrizioni elettorali sia per i candidati all’interno delle liste. Un’operazione oscura che ha di fatto penalizzato candidati che, con il precedente schema, sarebbero stati eletti. I senatori firmatari alludono senza giri di parole ai «problemi che una soluzione come quella adottata dall’Ufficio elettorale nazionale presso la corte di Cassazione rischia di creare a seguito del prevedibile contenzioso che seguirà la sua applicazione». In casa Udc, infatti, il magro risultato della lista “Forza Italia per cambiare l’Europa”, non ha consentito al segretario nazionale Lorenzo Cesa, nonostante il buon risultato raggiunto nelle preferenze, di essere nuovamente eletto a Bruxelles. Paradossalmente, in virtù del criterio identificato dall’Ufficio elettorale nazionale, un parlamentare di lungo corso, esperto mediatore e navigatissimo politico, prezioso in una fase tanto critica della “riprogrammazione” delle istituzioni europee, non troverà posto in Parlamento, magari per fare spazio a qualche giovane di belle speranze che si ritroverà sul seggio in virtù del pieno di voti del suo partito. Se poi ci si aggiunge che quel partito ha candidato in tutti i collegi il suo segretario come primo nome nella lista, si ha ancora più chiaro il dato che spesso alla politica degli uomini e quindi delle competenze si preferisca quella dei nomi. Berlusconi, infatti, a differenza di qualcun altro, ancorché candidato in tutti i collegi come primo nome, siederà in Parlamento e la sua discesa in campo, ancora una volta, non sarà solo uno specchio per le allodole, ma una presa di posizione. Certi nomi invece, magari altisonanti e sulla cresta dell’onda, in virtù del successo del momento, aprono la strada ai secondi (o magari terzi, quarti) nella lista, perfetti sconosciuti che andranno ad incidere sulla vita del Parlamento europeo nella fase più determinante e pregna della sua storia. Chi vivrà vedrà, siamo solo alle schermaglie iniziali di un conflitto che potrebbe farsi sanguinoso.
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