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L’Italia si salvi dalla Santelli che cavalca l’imperialismo sanitario


Jole Santelli

Non se ne può più del terrorismo sanitario, che nei mesi scorsi ha creato nuovi mostri, dato voce a virologi onnipresenti in tutti i programmi tv e terrorizzato gli italiani che ormai non si sentono neppure sicuri di uscire di casa. Eppure i periodi dei picchi, quelli delle terapie intensive intasate e delle bare che sfilavano sui camion dell’esercito sono ormai lontani. Un ricordo da tenere presente nella mente ma che bisogna limitare in quel tempo che ormai il Paese ha superato. Se l’Italia deve ripartire, per evitare che ai morti da Covid-19 si aggiungano quelli legati alle disastrose conseguenze economiche, è necessario superare i timori della fase acuta e infondere fiducia nei clienti che non vanno più nei ristoranti o nelle persone che vivono nella psicosi di guanti e mascherine e che, molte volte, si accaniscono violentemente contro chi non le indossa. Un compito che certamente spetta ai politici, che finora hanno delegato le decisioni alle task force di Giuseppe Conte e che, adesso, procedono in ordine sparso. La battaglia per la ripartenza, che potrà segnare una svolta grazie al turismo, si vincerà con il buonsenso e il coraggio, non certo con la richiesta di passaporti sanitari o obbligo di tamponi per chi sceglierà i luoghi di villeggiatura nazionali. Il buonsenso oggi ci dice che per superare la paura è necessario smettere di mandare a reti unificate gli allarmi dei virologi che già avvertono dell’arrivo di una seconda e terribile ondata in autunno. Se si vuole uscire dall’empasse di un’economia sull’orlo del baratro è importante vivere un giorno alla volta e quello che ci dicono oggi scienziati illustri come i professori Zangrillo e Remuzzi è che, come dimostrano i loro studi sulla carica virale nei tamponi, il covid-19 è clinicamente morto Quello che invece è duro a morire è l’imperialismo del terrore, che garantisce lunga vita a un governo incapace di dare risposte concrete a chi sta perdendo il lavoro ma che non rinuncia a snocciolare cifre della potenza di fuoco e passerelle agli Stati generali. Oppure ad amministratori locali che grazie alle ordinanze a corollario dei dpcm di Conte hanno trovato il loro momento di gloria. Il riferimento non è al governatore della Campania Vincenzo De Luca, la cui fama lo precedeva già ante coronavirus, ma al presidente della Calabria, Jole Santelli, diventata la paladina dello spirito della ripartenza con l’ordinanza che fece andare su tutte le furie il ministro Boccia. La Santelli firmò affinché al provvedimento dell’apertura di bar e ristoranti per il cibo da asporto venisse aggiunta la possibilità per i clienti di consumare l’ordine ai tavoli all’esterno e non chiusi in casa come voleva il governo. Era il 4 maggio e apriti cielo. Addirittura Boccia impugnò l’ordinanza davanti al Tar nonostante due settimane dopo sarebbe iniziata la fase due. E la Santelli prezzemolina fece il giro delle trasmissioni per sottolineare che la sua decisione era legata all’amore per una Calabria che doveva ripartire con l’economia già fortemente compromessa. Cosa sia successo nella testa della Santelli dal 4 maggio, quando ancora i contagi e i morti erano alti, a oggi non è molto chiaro. Perché la governatrice calabra, che invita gli italiani ad andare al mare sulle coste joniche e tirreniche, ha appena firmato una nuova ordinanza in cui obbliga, di fatto, chiunque arrivi in Calabria a sottoporsi al tampone. Un atteggiamento intermittente, che da un lato invita a superare la paura e a scegliere una regione covid free e dall’altro pretende che chi porti i suoi soldi nelle strutture alberghiere della zona e ai commercianti in affanno si sottoponga, in maniera praticamente obbligatoria, al tampone da eseguire quando si oltrepassano i confini regionali, in un posto di blocca, all’uscita del treno, con test rapidi che non hanno un’affidabilità documentata. Non basta costringere un vacanziere a prenotare un posto a tempo in una spiaggia libera, dove deve arrivare con la mascherina sudata sotto il sole cocente e con temperature intorno a 40 gradi che già senza nulla davanti alla bocca ti levano il fiato. Non basta che quello stesso vacanziere, prima di entrare in spiaggia, debba essere sottoposto al pubblico ludibrio della misurazione della febbre, che malauguratamente supera i 37,5 scatta la lettera scarlatta U di untore. Adesso anche il tampone alle “frontiere” e qualora sia positivo la vacanza si trasforma in quarantena in hotel. Se questa è la ricetta della Santelli per far ripartire il turismo crediamo che quest’anno gli italiani sceglieranno altre località.


l'editoriale di Monica Macchioni

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