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L'Italia un «Paese per vecchi»: il Censis ci scopre più poveri, sfiduciati e diffidenti



Un Paese zoppo, che intervalla lunghi periodi di stasi a lenti, svogliati segnali di ripresa. Un Paese vecchio, sfibrato, vittima dei suoi stessi incubi e incattivito dall'assenza di un riscatto, sociale ed economico, promesso, agognato, ma mai davvero raggiunto. Un Paese in cui la linfa pulsante, nel fiore degli anni, emigra o sta a casa senza lavoro. Più che una doccia gelata il 52° rapporto Censis è una secchiata di ghiaccio mentre si è avvolti nel caldo abbraccio di Morfeo. Da levare il fiato e il sonno. L'Italia si risveglia più vecchia, povera, sfiduciata, incattivita e senza speranza. I dati parlano chiaro e non lasciano molto spazio all'interpretazione: «Il processo strutturale chiave dell'attuale situazione è l'assenza di prospettive di crescita, individuali e collettive». Questa la caustica sintesi del Censis sullo stato attuale dello scenario sociale della Penisola, sintesi che parla di un «sovranismo psichico, una reazione pre-politica con profonde radici sociali».


Se si dovesse estrapolare un concetto chiave attorno a questo impietoso bollettino di guerra, sarebbe senza dubbio la "sfiducia". Sfiducia nella ripresa, appena sfiorata nell'ultimo anno e mezzo, e bruscamente interrotta da un Pil che nell'ultimo trimestre è tornato ad essere introdotto dal segno meno. Sfiducia nel percorso d'istruzione come chiave per la realizzazione di sé, sfiducia che porta pesanti scorie che alimentano l'ondata di xenofobia e diffidenza. Sfiducia che omologa e appiattisce un dibattito politico in cui la metà della popolazione non crede più o da cui si discosta volontariamente. Mancanza di certezze, che diventano tali per l'89% di italiani a basso reddito che non vedono alternative future alla loro precarietà. Un'Italia più triste e chiusa in se stessa e che sembra aver perso quella capacità unica di sognarsi più grande e più bella, quel motore, ormai sbiadito ricordo, di un miracolo economico in cui questa generazione nemmeno spera.


I NUMERI


Addio alle belle speranze: solo il 23% dei concittadini (a fronte di una media Ue del 30%) considera le sue condizioni socio-economiche migliori rispetto a quelle dei suoi genitori, il 96% delle persone con un basso titolo di studi e l'89% degli italiani a basso reddito escludono la possibilità di vedere migliorare la propria condizione nell'arco della durata della loro vita. Mancanza di prospettiva futura che si lega anche al rapporto con la politica e le istituzioni: per più della metà degli italiani (56,3%) non è affatto vero che vi sia stato (o tanto meno che sia in corso) un cambiamento in meglio dello status quo. Il 63,6% è convinto che nessuno rappresenti realmente i suoi interessi (dato che sale al 72% tra chi possiede un basso titolo di studio e al 71,3% tra chi si sostiene con un basso reddito). Si allarga a macchia d'olio l'area cosiddetta di non voto: 13,7 milioni di persone alla Camera e 12,6 milioni al Senato sono gli italiani che hanno disertato le urne o votato scheda bianca o nulla alle ultime elezioni politiche, il 29,4% degli aventi diritto, quasi il 6% in più rispetto alla rilevazione del 1996. Per il 49,5% degli italiani i politici sono tutti uguali (52,2% tra chi ha un titolo di studio basso e al 54,8% tra le persone a basso reddito). E nel mondo del post truth entra di diritto in graduatoria anche il capitolo fake news: secondo il 68,3% hanno un impatto «molto» o «abbastanza» importante nell'indirizzo dell'opinione pubblica. Guardano indietro gli italiani, tuttalpiù in basso, ma poco in avanti: appena il 33,1% si definisce «ottimista» circa il futuro, contro il 31,3% «incerto» e un pesante 35,6% che si dichiara «pessimista».


La paura, nel sovranismo psichico, assume connotazioni che vanno oltre le percezioni sensoriali ed erge muri invisibili sempre più spesso invalicabili. Il 52% dei connazionali ritiene che si faccia di più per gli immigrati che per gli italiani, a fronte di un 63% che vede di malgrado l'immigrazione da Paesi extracomunitari (media Ue 52%) e di un 45% contrario anche all'immigrazione comunitaria (media Ue 29%). È ancora una volta la fascia più debole (il 71% degli over 55 e il 78% dei disoccupati) a vedere un nemico nell'extracomunitario. "Ci rubano il lavoro!", lo slogan che si perde tra satira e realtà, è la massima indissolubile per il 58% degli italiani. Per il 63% rappresentano un peso al welfare nazionale e solo per il 37% sono una risorsa che porta benefici all'economia. Per il 59,3% tra dieci anni non avremo raggiunto un buon livello di integrazione tra le varie etnie e culture, a suggello di una visione in negativo a tutto tondo.


Scarsi gli investimenti in Italia nell'istruzione, presa sottogamba dallo Stato e abbandonata dal cittadino. Soltanto il 3,9% del Pil viene dedicato alla formazione della futura classe lavorativa (contro la media europea del 4,7%) e tra il 2014 e il 2017 i laureati italiani di 30-34 anni sono passati dal 23,9% al 26,9%, contro una media Ue che è salita dal 37,9% al 39,9%. Sempre di più i ragazzi che lasciano prematuramente il percorso di studi, nel 2017 riguardano il 14% dei giovani 18-24enni, contro una media Ue del 10,6%.


Altro interessante dato riguarda i consumi nell'era digitale: si conferma il boom di social network e strumenti della disintermediazione digitale con il 78,4% degli italiani che utilizza internet, il 73,8% gli smartphone e il 72,5% i social network. Dati che schizzano al 90,2%, all'86,3% e all'85,1% se ci si riferisce a giovani tra i 14 e i 29 anni. Aumenta, soprattutto nella popolazione giovanile, il culto dell'individuo sulla collettività e si fa sempre più concreta la certezza che ognuno possa salire alla ribalta della scena, naturalmente grazie alla iperesposizione social. Il 49,5% della popolazione ritiene che chiunque possa diventare famoso (il 53,3% tra i giovani tra i 14 e i 34 anni), il 30,2% considera la presenza sui social un elemento imprescindibile per agguantare la fama (41,6% tra i giovani). Il web come sorgente del sapere: incredibilmente il 41,8% degli individui crede di poter trovare le risposte a tutto ciò che cerca consultando internet.


Non è un paese per giovani: tra il 2007 e il 2017 gli occupati con età compresa tra 25 e 34 anni si sono ridotti del 27,3%, mentre sono aumentati del 72,8% gli occupati tra i 55 e i 64 anni. Se nel 2007 ogni 100 anziani impiegati ce n'erano 236 giovani, oggi il rapporto è 100 a 99. Si passa a 143 ogni 100 anziani se si considerano i giovani laureati, a fronte dei 249 del 2007. Raddoppiati in soli sei anni i giovani in stato di sottocupazione, 237.000 persone di 15-34 anni.


Si inasprisce il già enorme divario tra Nord e Sud della Penisola: il Paese è ancora fermo rispetto ai livelli pre crisi e di fronte ai valori del 2008 tutte le regioni sono in ritardo. Se Lombardia ed Emilia Romagna appaiono in netta ripresa (-1,3% e -1,5%), seguite sempre con un buon ritmo anche da Veneto e Toscana, stentano ancora il Lazio (-5%), il Piemonte (-6,2%), la Campania (-7,9%), la Sicilia (-10,3%). Arrancano anche le regioni colpite dal terremoto, con l'Umbria sotto di 12 punti, o quelle soggette ad altre catastrofi come la Liguria (-10,7%). Conseguentemente aumenta l'emigrazione dal Meridione verso le zone più accoglienti.



di Alessandro Leproux

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