Le elezioni europee del 26 maggio sono in cima agli impegni (e agli assilli) di Nicola Zingaretti, neo-segretario del Pd, indicato domenica scorsa dalle primarie e in attesa della elezione ufficiale del 17 marzo in seno all’Assemblea nazionale dei dem. Il tempo stringe e allora ecco che il governatore del Lazio continua a riempire l’agenda di incontri: domani pomeriggio, a Roma, vedrà il socialista Frans Timmermans, candidato del Pse alla presidenza della Commissione Ue (ruolo noto come Spitzenkandidat). Al telefono, oggi, Zingaretti ha sentito Federico Pizzarotti - sindaco di Parma, ex fondatore del Movimento 5 Stelle delle origini, poi espulso dall’M5S e oggi presidente di Italia in Comune, che ha avviato un solido rapporto con i Verdi per una lista ‘in comune’. La telefonata è stata definita “cordiale” e presto, la prossima settimana, ci sarà un incontro tra i due, ma nulla di più.
La prossima settimana Zingaretti avrà un secondo incontro anche con Emma Bonino, dopo quello di ieri, andato assai male, nel senso che ‘+Europa’ vuole andare avanti per la sua strada, quella di una lista liberal-democratica autonoma. In previsione c’è anche un incontro con il segretario di Mdp, Roberto Speranza, sempre con lo stesso obiettivo: dare vita a una lista unitaria alle Europee, ma il confronto con gli “scappati di casa”, come li chiama con disprezzo Giachetti. L’incontro non è stato, per ora, ancora confermato, almeno in casa Mdp, e Speranza ha ribadito, su Repubblica, che “noi non intendiamo rientrare nel Pd”. Infine, c’è, ovviamente, Carlo Calenda. Per lui un posto ci sarebbe già, se volesse, nelle liste del Pd, ma ieri l’ex ministro dei governi Renzi e Gentiloni è stato molto duro, sul suo strumento di comunicazione preferito, cioè Twitter: “1) Non ho mai chiesto di candidarmi; 2) felice se Pisapia si candida nel Nord Ovest; 3) se non si costruisce “Siamo Europei” la mia candidatura con il Pd non si pone proprio”.
Insomma, se l’obiettivo di Zingaretti è una lista allargata che però parta dal Pd e ne tenga fermo il simbolo (che pure “non è un dogma”, come continuano a ripetere i suoi), non sembra affatto, per ora, che i primi approcci di Zingaretti abbiano prodotto significativi risultati. Tutte porte in faccia, anzi, anche se ‘sbattute’ con molta, delicata, gentilezza.
Il problema, però, in questo caso, non è Zingaretti, ma ‘gli altri’. Infatti, ognuno dei soggetti politici prima nominati crede – anzi, è convinto – di riuscire a superare la soglia di sbarramento del 4% (circa un milione e più di voti, asticella che però cambia in base all’affluenza), alle Europee. Quanto questa prospettiva sia davvero realistica è opinabile, ma tant’è. La formazione più in salute, stando ai sondaggi, è quella nata dalla fusione tra gli ex radicali di Bonino e l’ex Centro democratico di Bruno Tabacci che ha vinto il congresso fondativo di ‘+Europa’ (anche con l’aiuto di diverse ‘truppe cammellate’) e che ha eletto a proprio segretario l’ex radicale Benedetto Della Vedova. Tabacci, che ha la golden share del piccolo partito, è tranchant: “Noi ci presenteremo con il nostro simbolo. La legge elettorale spinge in questa direzione. Che senso ha la lista unica? E poi noi, nell’Europarlamento, stiamo nel gruppo dei liberal-democratici (l’Alde, ndr.) e non in quello dei socialisti (il Pse, ndr.)”. “Poi, in futuro – è la sola apertura di Tabacci a Zingaretti – quando si voterà in Italia vedremo se sarà meglio dar vita a una lista unica o a una coalizione. In ogni caso, staremo con il centrosinistra”. Quindi, anche se la Bonino, come posizione personale, sarebbe tentata dall’accordo con il Pd, da ‘+Europa’ è già arrivato il primo ‘no’ al listone del Pd e il nuovo incontro con Zingaretti, cui parteciperà anche Della Vedova, non smuoverà quel neo-partito di un passo dalla decisione di andare da soli alle elezioni, sperando di superare il 4%. Lo stesso Della Vedova dice che “+Europa intende proporre alle elezioni europee il proprio progetto liberaldemocratico e il proprio simbolo. Quella della presentazione autonoma è la direzione di marcia decisa al congresso di Milano. Incontreremo presto, ufficialmente, il nuovo segretario del Pd, Nicola Zingaretti, e nel caso arrivasse una proposta di aggregazione elettorale più vasta, ma compatibile con i nostri punti di partenza, come quella ipotizzata da Carlo Calenda, la valuteremo con attenzione”. Insomma, la palla sembra che Della Vedova la rigetti nel campo del Pd, dicendo – nel sottotesto – “se lui non ci sta, perché mai dovremmo starci noi?”. E Calenda, tipo assai irascibile, rincara la dose sempre via Twitter: “ Occorre chiarire qual è la posizione del Pd e di +Europa prima di andare avanti. Nessuna polemica ma solo una doverosa verifica prima di far lavorare i militanti sui territori. Se il Pd ha deciso di archiviare il listone, basta saperlo e non prenderci in giro”. Per ora, da parte di entrambi, è un nulla di fatto, se non direttamente un ‘no, grazie’. E poco importa che, per ‘+Europa’, sia che andasse da sola sia che facesse fronte comune con i Verdi e con Italia Bene Comune, raggiungere la soglia del 4% potrebbe rivelarsi un miraggio.
Anche dai piccoli Verdi, ieri in mano ad Angelo Bonelli, oggi guidati da due, nuovi, ‘co-portavoce’, Elena Grandi e Matteo Badiali (che Bonelli, di fatto, etero-dirige) è un no: “Il fatto che Zingaretti abbia deciso che il Pd andrà da solo alle Europee non ci riguarda, ma gli facciamo i nostri auguri. Noi abbiamo da mesi iniziato un progetto europeo, verde e civico, insieme a Italia in Comune sui temi dei cambiamenti climatici e sulla Green Economy. Lo faremo con una lista per le Europee, aperta ai valori della tutela dell’ambiente e a quelli dei diritti, una lista femminista ed europeista che punti alla conversione ecologica”. Quindi, per la proprietà transitiva, anche Pizzarotti dirà di no. Per quanto riguarda la sinistra, invece, la disponibilità di Mdp ci sarebbe tutta, ma in questo caso il problema è il Pd. “Si è chiusa una stagione, nel Pd, e se n’è aperta un’altra – ragiona Speranza – bisognerebbe avviare un dialogo. Non vogliamo tornare nel Pd, ma dare vita a una lista unitaria”. Zingaretti, però, non può permettersi – non oggi, non subito – di dare l’impressione di chiudere un accordo elettorale ‘solo’ con la sinistra e non anche con i centristi. Quindi, se il ‘via libera’ all’alleanza con le forze di sinistra (non solo Mdp, ma anche Sinistra italiana di Fratoianni) per le elezioni regionali è stato già dato (il 24 marzo si vota in Basilicata e tutta la sinistra si ritroverà dietro le bandiere del nuovo candidato a gestire il ‘post-Pittella’, Carlo Trerotola, e il 26 maggio si vota in Piemonte, dove il governatore uscente, Chiamparino, cerca la riconferma), per le Europee è tutto un altro paio di maniche. Zingaretti non può ‘aprire’ solo a Mdp (SI non è affatto interessata), prestando il fianco all’accusa di voler ricostruire la Ditta.
Ecco perché sia Mdp che SI finiranno per presentare liste autonome, alle Europee, consapevoli di non avere alcuna chanche di superare l’improba soglia di sbarramento. Una dispersione di voti che non farà bene a loro né al Pd. Insomma, i guai per Zingaretti, in vista delle Europee, sono appena cominciati. Oggi vedrà, appunto, il candidato del Pse alle elezioni del 26 maggio, Franz Timmermans, a Roma per un incontro pubblico, ma la bisaccia del possibile allargamento del Pd in un ‘listone’ unitario per ora è vuoto. Ma c’è di più: con l’ingresso di Macron e del suo movimento, En Marche - in risalita nei sondaggi in Francia, e a cui guardano come un nuovo ‘faro’ i renziani italiani che stanno, ancora, nel Pd - tra i liberali europei, il gruppo dell’Alde si scioglierà, annuncia Guy Verhofstadt, che ne è il presidente uscente per dar vita a un nuovo intergruppo. Un nuovo gruppo ‘lib-dem’ che potrebbe diventare la ‘casa europea’ anche per i dem italiani che si ritroveranno a non gradire le ricette giudicate ‘socialiste’ di Zingaretti.
di Ettore Maria Colombo
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