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L’OSSIMORO


di Michele Lo Foco


Talvolta, nell’esaminare le logiche politiche che ispirano il settore dello spettacolo, e del cinema in particolare, si ha quasi la sensazione che i meccanismi di produzione e di commercializzazione del prodotto non siano né conosciuti né chiari. Pertanto, ogni tanto, è bene formulare degli esempi per evidenziare come vengono spesi i soldi statali e quale impatto hanno sul mercato.

Prendiamo un film a basso costo, ipotizziamo un milione di euro.

Il produttore ottiene dal Ministero un sostegno di 250.000 €, dal Tax Credit 350.000 €, da Rai 150.000 €, dalla Film commission 150.000 €, cioè 900.000 € di soldi pubblici. Poi ottiene da un associato o da un coproduttore 100.000 € e copre il costo film.

Al distributore chiede il lanciamento del film cedendo i ricavi theatrical.

Coperto il costo di 1 milione, il produttore da quella cifra trattiene per sé 150.000 € tra spese generali e remunerazione del lavoro, paga gli autori ed il regista con 100.000 €, gli attori con 100.000 €, il resto serve per la troupe e le lavorazioni.

Ovviamente, se tra gli autori e tecnici ci sono persone di famiglia del produttore, i corrispettivi si sommano.

Ipotizziamo che film risulti, come probabile, un prodotto modesto, ma non proprio disastroso, ed entrino al cinema 50.000 spettatori, per un incasso di circa 350.000 €. Al produttore va circa un terzo di questa cifra che però viene trattenuta dal distributore a recupero delle spese.

Non ci sono in questo caso ulteriori ricavi, in quanto la modestia del prodotto non consente nemmeno sulle piattaforme alcun successo e nessun interesse produce il film nei mercati esteri.

Pertanto lo Stato ha contribuito al film con 18€ a spettatore cinematografico mentre il produttore ha ricavato per sé e la sua società 150.000 €. Se paragoniamo questo risultato a quello che spende lo Stato per l’opera lirica, il cinema sembra un’attività parsimoniosa. Il problema è che i film sono molto più numerosi delle opere e pertanto le cifre si innalzano a dismisura.

L’esempio precedente, ovviamente schematico e standard, serve a visualizzare due dati: lo Stato spende 18€ a spettatore cinematografico per un film dal costo di un milione di euro ed il produttore di un film modesto, che non produce ricavi, incassa comunque 150.000 €.

Questo è l’ossimoro del cinema nazionale, nel quale manca totalmente un elemento, il mercato, sostituito in ogni aspetto dallo Stato in una progressiva cinesizzazione degli apparati e di conseguenza in una sempre maggiore omologazione della creatività. Stato vuol dire burocrazia, burocrati, convenzionalità, influenza, come avviene quando i bancari si occupano di imprenditoria: primo poi arriva il diluvio.

Ora, mettiamo che lo Stato decida di non intervenire più nel settore: come farebbe il produttore a produrre un film modesto ed a guadagnarci? Certamente non potrebbe, e sarebbe costretto o a rinunciare o a ripristinare nei suoi programmi la parola “mercato”, cominciando a scegliere storie di sicuro interesse, assicurandosi la presenza di attori benvoluti dal pubblico, concludendo coproduzioni internazionali, scegliendo registi di grande professionalità, tutto in funzione di una probabilità di successo che è l’unica chiave che consentirebbe il guadagno.

Certo diminuirebbero i film prodotti, l’occupazione ne risentirebbe, ma in un tempo relativamente breve l’industria tornerebbe ad essere solida in quanto guidata dal supremo interesse dei risultati positivi e da una nuova potenzialità europea. Gli attori nostrani riprenderebbero vigore internazionale, come i registi, e nascerebbero nuovi autori e nuovi scrittori, perché di questo vive il cinema, di storie scritte bene, di atmosfere, di sensazioni, di illusioni.

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