«E se la massima realizzazione umana non fosse essere e sentirsi interamente liberi e sovrani del proprio agire e pensare, ma al contrario se fosse beatitudine e grandezza sentirsi nelle mani del destino, specchi che riflettono la sua luce, esecutori del superiore ordine del destino, o della sua benevola rappresentazione, la Provvidenza?». Potrei spendere molti vocaboli e impegnarmi in entusiastiche ed apologetiche esaltazioni nell’abbracciare l’ultima fatica filosofica di Marcello Veneziani “Nostalgia degli dei. Una visione del mondo in dieci idee” (Marsilio nodi), potrei, ma non lo farò. Non lo farò perché, in realtà, questa portentosa ultima opera di Veneziani deve essere letta, ineluttabilmente letta, in quanto tocca il divino che è in noi e intercetta il sublime che è fuori di noi.
Ogni pagina è un racconto del mistero, ogni periodo un saggio in sé, ogni parola evoca lidi di riflessione che fanno viaggiare la mente nell’ “Altrove” e i neologismi (iniezioni di erudita intelligenza) aprono l’intelletto verso altri mondi, in direzione di volte celesti che indicano percorsi inesplorati, visoni filosofiche e di introspezioni letterarie, che almanaccano su ogni frammento di cui l’essere umano vive e la cui anima si nutre. Potenza poetica, canto lirico, sguardo epico, onnipresenza del pensiero. Idee, come spazi privi di orizzonte e di argini, dilagano senza alcun ostacolo negli occhi, nella mente e nel cuore del lettore, che vedrà compiersi in lui il fenomeno del corpo astrale: la lettura farà uscire la propria anima dal corpo che potrà vagare liberamente in dimensioni a lui sconosciute, che gli diverranno via via però sempre più familiari. Pensiero glorioso che si fa letteratura che non è null’altro che una polluzione di inesauribili emozioni che tolgono il fiato e affiancano la lettura nel suo incedere, radicandosi inscindibilmente nell’immaginario di colui che legge perché sono parte di lui. Questo capolavoro è un viaggio per tornare all’origine, nel cui verso ogni viaggio si orienta, un viaggio di ritorno, un cammino a ritroso, ognuno verso la propria Itaca. Anche il futuro è solo il passato che attende di verificarsi.
Pensiero vivente, “Nostalgia degli dei” germoglia intelligenza come sinfonia polifonica e politeista dell’anima che si apre a una Idea avvinghiata alla Parola, sangue che trasporta pulsioni interiori, per poi mutare, come una farfalla che lascia le sue vestigia di crisalide, in scrittura, carne del Pensiero. La Parola è modello e messaggio, presagio e profezia: «Fu Pensiero a sedurre Parola o fu Parola a provocare Pensiero?». Tra Nietzsche e i presocratici, fra Platone, Beethoven e l’immensità dell’arte che è estetica della nostalgia, nostalgia del Passato, nostalgia di Futuro, nostalgia del Presente, nostalgia dell’Uomo, nostalgia di Bellezza. Necessità spasmodica di eccelso. Voglia di Mito. Tensione per l’immortalità. Atto di amore per l’Uomo, pensiero voluttuoso, desiderio irrefrenabile di tornare all’ “intelligere” come unico modo di ricomporre l’essere umano nel sua primigenia architettura esistenziale.
I passaggi del libro come paesaggi rimarranno a galleggiare nello spazio e non se ne andranno facilmente perché il lettore vorrà trattenerli a sé.
«Credere in Dio è una possibilità – o un rischio – ma pensare in Dio è una necessità. E’ impossibile pensare senza un ordine di connessioni che parta dall’Uno … Dio è il nostro colmo e il nome della nostra mancanza. La morte di Dio è la perdita del nostro confine e dunque la dispersione dell’intelligenza nel caos». E ora un poco di silenzio, per favore.
di Fabrizio Giulimondi
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