In cerca di un porto sicuro dove sbarcare. Non è una storia di velieri e traversate per i sette mari, ma la vicenda che vede protagonista l'imbarcazione della Ong Sos Mediteranee e Msf, l'Aquarius, in mare da due giorni con un carico di 141 migranti. Secondo quanto riferito dai naufraghi, salvati in mare nel corso di operazioni disgiunte, sarebbero almeno cinque le imbarcazioni incrociate durante la permanenza a largo della Libia, nessuna delle quali però si sarebbe prestata ad offrire soccorso.
Quanto pronosticato e in parte auspicato dal ministro Matteo Salvini sembra dunque essersi tradotto in realtà. Venendo a mancare l'apporto e il coordinamento dei cosiddetti porti sicuri europei, nessuna imbarcazione, mercantile o non, si presterebbe più al soccorso in mare di questi disperati, sebbene ciò rappresenti ancora un'aperta violazione delle norme internazionali. In mare da venerdì, in un peregrinare continuo fatto di rimbalzi e rifiuti, la ong Aquarius si è infine rivolta con un appello all'Unione Europea, chiedendo che venga loro indicato un porto giudicato sicuro e il più vicino possibile dove poter sbarcare in sicurezza il carico umano di oltre cento persone e «favorire anziché impedire l'assistenza umanitaria salvavita nel Mediterraneo centrale». Un appello, almeno stando alle ultime condotte tenute dai diversi centri di coordinamento, sia europeo che nordafricano, destinato a rimanere in balia delle onde. Proprio dal centro di comando per il soccorso in mare libico, contattato da Aquarius, era arrivata infatti la conferma dell'autorità in merito al coordinamento delle operazioni, sebbene non sia poi mai giunta un'assegnazione per un porto sicuro dove sbarcare il carico umano.
Un brusco stop, o quanto meno un rallentamento delle operazioni per le Ong tanto osteggiate dal ministro degli Interni italiano e che sembra aver trovato pieno appoggio nell'atteggiamento degli altri Paesi rivieraschi che si affacciano sul Mediterraneo.
Ultima nave rimasta ad operare in quel tratto del mare, l'Aquarius rappresenta ormai un unicum destinato forse a scomparire, a conferma della sinora fallimentare politica nella redistribuzione dei migranti che dovrebbe essere garantita dal trattato di Dublino, a cui però i Paesi di primo sbarco sembrano essersi completamente ribellati. A conferma di ciò, anche le parole della Cancelliera tedesca Angela Merkel che ha definito ieri «non più funzionali gli accordi di Dublino».
Quella che prima era solo una necessità italiana riguardo un'equa distribuzione del carico di migranti tra tutti i Paesi europei, senza distinzioni di natura geografica, è diventato un bisogno impellente che non si può rimandare ancora o il rischio di vere e proprie stragi nel silenzio del Mediterraneo potrebbe diventare qualcosa di più di un semplice incubo.
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