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La figlia di Almirante: «In Salvini vedo entusiasmo mio padre, ma non ci sono più politici come lui»

Aggiornamento: 9 mag 2019



Esattamente trent'anni e tre mesi fa ci lasciava una delle figure politiche che più e meglio di altri ha segnato il secolo scorso per innate qualità e uno spiccato senso di responsabilità nella visione e nella gestione della cosa pubblica. Giorgio Almirante è stato un leader naturale, una guida per molti, rispettato e ammirato anche, e se non più, dai suoi avversari politici. Un fiume in piena quando dava prova delle sue capacità oratorie, inarrestabile quando si trattava di prendere una posizione e di difenderla. Un faro che ha saputo fare da eco, e nello stesso tempo da scudo, alla fase forse più critica che la destra italiana abbia mai attraversato, ovvero la transizione dal periodo fascista a quello repubblicano, con la demonizzazione che ne è conseguita di tutto ciò che certi valori tradizionali rappresentavano. Un uomo coraggioso e desideroso di condividere e partecipare, ma soprattutto un uomo di una pasta che sembra essersi estinta dal panorama politico nazionale. Con il suo esempio e la sua vena di genuinità, corroborata da una notevole caratura culturale, il suo nome e quello del Movimento Sociale Italiano sono andati per anni di pari passo come un'unica cosa. Lungimirante, anche quando realizzò la necessità di una nuova figura nel direttorio che sapesse voltare pagina col passato e rilanciare a livello nazionale il movimento e i valori fondanti che esso mirava a diffondere. La sua eredità, motivo di stimolo per ritrovare nella politica quegli obiettivi di difesa e promozione della collettività e del suo prosperare, è stata negli anni anche ostacolo per figure di ben diversa statura, evidentemente offuscate da un'ombra ancora così imponente e ricordata trasversalmente da tutta la scena istituzionale. A trent'anni dalla sua dipartita, chi meglio di Giuliana De' Medici, figlia di Giorgio Almirante e di Raffaela Stramandinoli, conosciuta ai più come Donna Assunta Almirante, segretario della fondazione Almirante, poteva rendere testimonianza dell'operato di una colonna portante della destra tradizionale e fornirci un raffronto tra lo scenario odierno e quello da lui vissuto e indirizza


Signora De' Medici, partendo da un fatto di attualità come il disastro del crollo del ponte Morandi a Genova, crede che tornare indietro a una gestione pubblica delle infrastrutture viarie sia una soluzione?


«Il problema non è di così facile risoluzione. Non basta parlare di privatizzazioni sì o privatizzazioni no. Certamente questo contratto di concessione, che sembra essere addirittura secretato in molte sue parti, quando fu stipulato con Autostrade per l'Italia presentava una predisposizione troppo sbilanciata in favore del privato. Non sono in linea di massima contraria alla gestione privata, ma occorre fare le cose in nome dell'equità. Sicuramente il pubblico non è molte volte in grado di gestire determinati servizi in piena efficienza, ma deve necessariamente avere un suo tornaconto, in termini di beneficio per la collettività e anche di carattere economico. Non può esserci una remissione su tutta la linea. Ma soprattutto da parte dell'investitore deve esserci la garanzia del rispetto dei termini contrattuali, in particolare se si parla di sicurezza ed efficienza. Lo Stato con occhio vigile deve assicurarsi che quanto stipulato venga portato a compimento. Se quanto paventato in questi giorni, circa una elusione dei controlli e della manutenzione da parte del gestore verrà comprovato dalla Magistratura, sicuramente ci sarà bisogno di un gesto forte. Considerato anche quanto costa per gli italiani usufruire delle Autostrade tragedie come queste lasciano allibiti. Le responsabilità andranno accertate quanto prima e occorreranno le giuste punizioni»


Leggendo poi dati recentemente sotto gli occhi di tutti, la gestione privata delle autostrade frutta degli utili considerevoli che consentono un'adeguata manutenzione e gestione dell'infrastruttura


«A prescindere dalla questione economica, c'è un impegno che la società ha stipulato con lo Stato ed è a quello che bisogna adempiere. Che i soldi ci fossero o meno, poco importa. Se non ci sono le condizioni per proseguire, in piena onestà bisogna fare un passo indietro»


Alla luce di questa sua considerazione, rispetto all'epoca in cui suo padre calcava la scena politica, c'è stato un abbandono e un progressivo disinteresse nei confronti del pubblico, visto più come un dovere piuttosto che come parte fondante della collettività stessa?


«Questo è sicuramente vero. Si è perso il senso della collettività e del dovere nei confronti dello Stato e di tutto ciò che è di tutti. Ricordo negli anni passati di aver lavorato col senatore Maceratini, il cui padre, mi raccontava, durante gli anni del fascismo o subito dopo, che in occasione di una nuova assunzione al Ministero, accompagnava il nuovo impiegato per presentargli il nuovo ambiente lavorativo e per ultima cosa gli lasciava una matita, con l'impegno di dargliene una nuova soltanto quando lui gli avesse riportato il "mozzicone" esaurito. È un esempio semplice, ma che evidenzia un rapporto con la cosa pubblica del tutto estraneo agli sprechi a cui assistiamo quotidianamente. Si gestiva un Ministero come si gestisce casa propria, con cura e affetto e senso di responsabilità»


In questo senso il Movimento Sociale Italiano ha da sempre combattuto una campagna in favore della trasparenza, è da lì che lei ha attinto nella sua formazione politica?


«Se ben ricorda ai tempi dell'Msi c'erano dei motti, come ad esempio "Noi saremo i carabinieri nella pubblica amministrazione". L'interesse e l'appartenenza erano fondamentali per fare politica. E in effetti se si guarda per esempio al processo di Mani Pulite, noi come Msi fummo l'unico partito in Parlamento che non fu scalfito dall'inchiesta, per stessa recente ammissione di Di Pietro. Ognuno di noi dovrebbe recuperare un po' di quello spirito che purtroppo si è andato via via perdendo»


Quale può essere una strada a ritroso per ritrovare quell'attenzione smarrita?


«Un esempio forse banale può essere il fatto che ormai non si insegna nemmeno più nelle scuole l'educazione civica. Ai miei tempi quella semplice ora settimanale conferiva già un attaccamento e instillava nelle menti dei giovani la cultura del pubblico e del rispetto di ciò che appartiene alla collettività, oltre a conferire delle prime nozioni sull'ordinamento statale. Oggi questo non c'è più. Leggiamo con tristezza di turisti di ogni dove che si permettono di fare in Italia cose che mai si sognerebbero nemmeno di tentare nei loro Paesi. Purtroppo l'incuria e il disinteresse che abbiamo si ripercuotono e vengono percepiti come una tolleranza verso tutto e tutti»


Parlando di politica attuale, come giudica i primi due mesi scarsi di governo e la natura di questa, almeno inizialmente, improbabile alleanza?


«Sicuramente è un'alleanza particolare, però sembrano essere riusciti a trovare un punto di incontro. È molto presto per giudicare un operato così breve, ma le premesse sembrerebbero buone. Salvini sembra star continuando a fare quanto promesso e se dovesse proseguire su questa strada ben venga. Se riuscissero a tradurre in realtà quanto prospettato, in particolare con l'abbassamento delle imposte e la flat tax, per rispondere alle esigenze di quella parte produttiva del Paese che è al momento in ginocchio, si potrebbe già dare un primo giudizio positivo, indipendentemente dal colore politico che rappresentano. Aspettiamo comunque ancora un po' di tempo per tirare realmente le somme»


Tralasciando la caratura dell'uomo politico, nella presa e nel modo di rapportarsi con le persone, rivede in Matteo Salvini qualcosa di Giorgio Almirante?


«In tutta onestà è un paragone ardito per i differenti livelli culturali e di epoca. L'unica cosa che sicuramente posso riscontrare e che li accomuna, è la voglia di Matteo Salvini di stare con le persone, qualità che l'ha di sicuro premiato, perché assai rara da riscontrare. Questo suo incessante entusiasmo e l'instancabilità di certo lo accomunano a Giorgio Almirante. Per il resto vedo parecchie differenze e non riscontro quell'eleganza che contraddistingueva il modo di fare politica di Almirante in altre figure politiche attuali. Non voglio certo fare paragoni sminuenti per nessuno, semplicemente il livello degli uomini politici di un tempo era ben diverso da quello odierno»


In cosa difetta rispetto a prima la figura politica oggi diffusa?


«Probabilmente oltre all'estrazione sociale, in termini di bagaglio culturale, pesa la mancanza di un percorso politico definito. Le persone che sono arrivate ai vertici degli ultimi anni non sempre hanno fatto quella carriera, quella gavetta necessaria. Almeno nel Movimento Sociale un tempo si passava dall'essere consigliere comunale, a entrare alla Regione e infine in Parlamento. Un percorso che in qualche maniera forgiava le persone, assistite anche dalle "scuole di partito", che davano una linea da seguire. Oggi diversi leader sono persone che si sono avvicinate alla politica da pochissimo, molte con un'esperienza pari a zero o con al massimo una legislatura alle spalle. Basta guardare a uno degli innumerevoli discorsi pubblici di Giorgio Almirante per rendersi conto che un modo di fare, un linguaggio politico fatto anche di maniere e di garbo si è completamente estinto»


Non esiste quindi secondo lei, al netto di tutti gli schieramenti politici, un erede naturale di Giorgio Almirante?


«Direi di no. Sicuramente in Giorgia Meloni rivedo molte caratteristiche essenziali a una figura di spicco. Oltre a essere una donna in gamba, ha fatto la sua gavetta e sta portando avanti le sue idee con forza e determinazione, ma se dovessi dire se ha preso in mano l'eredità di Almirante in tutta onestà direi di no. Anzi molto spesso nella linea politica di Fratelli d'Italia c'era l'intenzione di discostarsi dal passato e forse non c'è sempre stata la voglia di riceverla questa eredità. Un fatto che ho riscontrato in tutte le esperienze politiche sorte dopo l'Msi. Da Alleanza Nazionale in poi c'è sempre stata la volontà di mantenere certe distanze con l'origine»


Un'eredità forse troppo ingombrante per qualcuno?


«Sicuramente questo ha contribuito, unita a una sorta di eterna ricerca di "verginità" rispetto all'Msi. Un senso di colpa che qualcuno si è addossato, sia rispetto all'esperienza fascista rivendicata dai precedenti vertici sia a un bisogno di apparire estranei a vicende percepite in maniera sensibilmente mutata dall'opinione pubblica di allora. Per la verità lo stesso Almirante, quando favorì l'elezione di Gianfranco Fini a segretario di partito, aveva percepito la necessità di una figura che si discostasse dal passato per non subire le accuse che erano invece rivolte a lui e alle precedenti gestioni. Purtroppo questa intenzione è stata recepita in maniera sin troppo radicale dalle "nuove leve", che hanno completamente rinnegato le precedenti esperienze»


Una presa di posizione che, alla lunga, non sembra per altro aver favorito a livello di gradimento dell'elettorato


«Direi di sì, più in Fratelli d'Italia che in Alleanza Nazionale, che ha comunque avuto il suo exploit, questo completo discostarsi dai valori fondanti della destra tradizionale è penalizzante. Vedo invece da parte della base, più legata ai valori della destra, una profonda critica e un distacco verso questa linea politica. Probabilmente se avessero più attenzione a riguardo anche i risultati sarebbero migliori»


C'è ancora rimpianto, nelle figure più vicine ad Almirante, per la decisione di aver affidato le sorti del partito a Fini, visti gli esiti che ne sono conseguiti?


«Sicuramente rispetto all'Msi di Almirante i tempi erano ben diversi e un'evoluzione era giusta ed auspicabile. Il problema di Fini è che con la sua scorrettezza morale ha poi distrutto una comunità umana. Inizialmente credo abbia avuto una giusta condotta, portando il partito a degli ottimi risultati, dopodiché resta un mistero cosa sia scattato nella sua mente per portarlo ad essere una persona completamente diversa da quella che conoscevamo. Quello che abbiamo di fronte oggi è senza dubbio un altro Fini che a causa, io penso, di un delirio di onnipotenza si è completamente lasciato prendere la mano, evidentemente non memore della vita fortunata che ha condotto, in cui tutti, in primis Almirante che l'ha fatto diventare giornalista professionista e poi segretario di partito, gli hanno spalancato le porte senza ostacoli. Ha creduto di poter andare avanti da solo senza i suoi compagni di viaggio e da lì in poi è stato un tracollo generale perché al di là degli errori di valutazione politica non si è comportato in maniera limpida e trasparente, macchiandosi e macchiando il partito di condotte su cui ancora la Magistratura si sta esprimendo»


Come giudica la vicenda, sicuramente rocambolesca, del passo indietro voluto dal sindaco Raggi in merito all'intitolazione di una via a Roma per Giorgio Almirante, nonostante la giunta avesse già votato favorevolmente?


«Ritengo l'intera vicenda davvero ridicola. Se pensa che l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano o l'attuale Sergio Mattarella ci hanno inviato messaggi di apprezzamento nel giorno in cui noi come fondazione ricordiamo alla Camera dei Deputati la figura di Giorgio Almirante, vedere poi una Raggi qualsiasi mettere un veto a questo provvedimento, per altro con le motivazioni addotte, rasenta davvero il ridicolo. Innanzitutto voglio dire basta con questa storia ormai vetusta dell'appartenenza al fascismo, Almirante è un personaggio pubblicamente riconosciuto per la sua mole istituzionale, un protagonista della scena politica sempre presente e corretto con tutti. Trovo assurdo il comportamento del sindaco di Roma, per altro dopo che la sua giunta si era già espressa in merito, e si evince che davvero non sapesse di cosa parlava. Comincio a pensare che quando Vespa l'ha intervistata (Porta a Porta, Rai1 del 14 giugno 2018, ndr) e lei ha dato quelle risposte non fosse davvero a conoscenza di chi fosse Giorgio Almirante, fatto che se fosse realmente vero darebbe un'idea dell'ignoranza del sindaco Raggi. Un capo di una città che versa in delle condizioni come è Roma dovrebbe avere altre priorità che quella di mettere bocca su un'iniziativa simile. Sembra una Cenerentola, scesa dal mondo delle nuvole dove vive in attesa del principe azzurro che la prenda e la porti via. E speriamo che ciò avvenga quanto prima per il bene della città. Chi ha un minimo di cultura politica dovrebbe riconoscere alla figura di Almirante qualità di cui i suoi stessi avversari politici gli hanno dato atto. Purtroppo però, e continuo a ripeterlo, il primo a macchiarsi di questa colpa è stato l'ex sindaco Gianni Alemanno, che ha condotto l'intera campagna elettorale dicendo di voler intitolare una via ad Almirante non appena messo piede in Campidoglio, eppure dopo sembra essersene miseramente scordato»


Come fondazione Almirante, oltre alle ricorrenze e alle celebrazioni, ci sono attività già in essere o che pensate di poter promuovere?


«A settembre riprenderemo con un'attività che è in crescita. Posso dirle in anteprima che abbiamo dato vita a un'associazione detta "Amici della fondazione Giorgio Almirante" che permetterà di avere una formula associativa. Lanceremo la possibilità di associarsi e dunque avere delle prerogative rispetto ai non associati e di avere un carattere nazionale di maggiore presenza sul territorio, per un riscontro e un rapporto più diretto con le persone. Abbiamo poi intenzione di intensificare le manifestazioni in tutta Italia che già stiamo portando avanti in modo da unificare le varie iniziative sparse su tutta la Penisola e poterle ricondurre ad unico e più ampio discorso. Stiamo poi revisionando il nostro sito internet che integreremo con un nuovo blog, in modo di poter dialogare con tutti i nostri amici e affiliati. Ci piacerebbe poi ricostituire una scuola di partito con conferenze e riunioni riservate a un numero ristretto di persone per cercare in ogni modo possibile di essere vicini alle persone. Continueremo inoltre la nostra opera di recupero e catalogazione di tutto il materiale e i documenti inerenti alla storia politica di Giorgio Almirante. Nonostante siano passati trent'anni dalla sua morte, l'eredità che ha lasciato è duratura e il suo ricordo indelebile»


di Alessandro Leproux

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