Una battaglia a colpi di emendamenti che rischia di veder sfumare la pace (di comodo?) rinsaldata appena pochi giorni fa tra Lega e 5 Stelle dopo il caso della presunta "manina" che avrebbe manipolato il testo del dl fiscale da presentare al Quirinale. Qualche malelingua parla infatti di un accordo siglato dai due vicepremier nelle stanze di Palazzo Chigi: via il condono e lo scudo fiscale per gli evasori, non graditi al popolo giallo guidato da Beppe Grillo, e in cambio via gli emendamenti annunciati dai pentastellati sul decreto sicurezza varato da Salvini. Risultato? Non solo gli emendamenti ci sono, e sono tanti (ben 81), ma sembra manifestarsi più che una semplice insofferenza da parte di molti dei firmatari perché vengano rimossi e non annacquino, fino a stravolgerlo, il decreto sicurezza. La legge del compromesso sembra sempre più questione giornaliera dalle parti del governo, alle prese con questo o quel dettaglio da ridiscutere ogni qual volta si presenti un provvedimento, e anche questa volta si era giunti a un principio di intesa. «Se c'è da suggerire qualcosa, ben contento. Dieci, quindici emendamenti ci stanno, suggeriti da sindaci, associazioni, ma 81 da una forza di maggioranza, dai...». Commentava così, soltanto pochi giorni fa dal Trentino, il vicepremier leghista, evidentemente infastidito dall'opera ai limiti dell'opposizione di qualche senatore grillino, chissà forse mosso a coscienza, forse manovrato ad hoc dalla "manina" di Roberto Fico, sempre più elemento estraneo all'alleanza di governo e fiero del suo ruolo di duro e puro del Movimento così come è stato concepito. Si era poi giunti al tacito accordo di mantenere una ventina circa di emendamenti al decreto e di far decadere gli altri, in nome della pace ritrovata e del quieto vivere.
Ma le promesse, soprattutto verbali, valgono a poco in politica, specialmente se non si è fatto i conti con chi i bastoni tra i raggi delle ruote del dl Salvini li ha piazzati con scientifica coscienza. Sembra rappresentare un esempio, in tal senso, il senatore grillino, già ampiamente noto al pubblico per i fatti legati al disastro della nave Concordia del 2012, Gregorio De Falco, al tempo capitano di fregata e addetto alla sala logistica della Guardia Costiera. Nonostante l'accordo tra le due forze di governo sulla riduzione degli emendamenti presentati sul decreto, De Falco, entrando in Commissione Affari Costituzionali, dove si sarebbe discusso delle sorti del provvedimento sulla sicurezza varato dal vicepremier leghista, ha gelato la platea senza ricorrere a mezzi termini: «Non ritiro i miei emendamenti, ci tengo in particolare a quelli sull'articolo 10». Il riferimento è quello all'articolo del dl Salvini in materia di riconoscimento della protezione internazionale per i richiedenti asilo, da sospendere e annullare in caso di reati accertati. «La questione è molto semplice: sostanzialmente sto seguendo le indicazioni del presidente della Repubblica», ha concluso il senatore penstastellato, apparentemente impassibile di fronte alle richieste di scuderia. All'uscita dalla discussione in Commissione, De Falco ha ribadito la sua intransigenza riguardo taluni punti da lui sollevati negli emendamenti e sulla volontà ferma di non tornare indietro, minacciando addirittura di non votare il provvedimento se gli emendamenti presentati fossero poi bocciati in sede di discussione parlamentare.
Quello di De Falco non sembra in ogni caso rappresentare un unicum: per ora degli 81 emendamenti presentati, soltanto sei sono stati ritirati, quelli a firma di Bianca Laura Granato, mentre quelli di Paula Nugnes sembrano destinati a rimanere. Il senatore Valerio Romano ha invece ritirato la firma da alcuni emendamenti 5Stelle, ma non trattandosi del primo firmatario, le modifiche richieste non decadranno sino alla discussione in Aula.
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