Mentre è in atto la sempre più difficile trattativa di Bruxelles, nel governo tira già aria di rimpalli di responsabilità, nel caso la procedura d’infrazione diventasse inevitabile? Oppure, le tensioni aumentano perché è in atto un negoziato davvero sul filo e ognuno dei contraenti giallo-verdi non intende cedere più dell’altro e cioè la Lega tira dritto su quota 100 per le pensioni e i Cinque Stelle ancora di più sul reddito di cittadinanza, il loro vessillo? Le indiscrezioni parlano di una Lega infuriata con il ministro Tria, una Lega che non intende fare passi indietro su quota 100. Fatto sta che i riflettori si accendono sull’attacco al reddito di cittadinanza sferrato, a metà pomeriggio di venerdì 14 dicembre, a trattativa europea in corso, dal leghista Giancarlo Giorgetti, il “Richelieu padano”, ovvero il potente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, e numero due di Matteo Salvini. Giorgetti lo fa a un convegno su sovranismo e populismo organizzato da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Nonostante sia noto per la sua proverbiale prudenza, a un certo punto butta là una cosa che non è per niente musica per le orecchie di Luigi Di Maio: «Il reddito di cittadinanza piace a un’Italia che non ci piace. Rischia di alimentare il lavoro nero. Ma è l’Italia con cui dobbiamo confrontarci e governare». E se il contratto di governo non lo si riesce a rispettare per Giorgetti non c’è altra strada che “le elezioni, senza il popolo sovrano nessun governo”. Questo non significa certo che lui le chieda, ma il numero due leghista fotografa una situazione in cui finora la parola elezioni non era stata nemmeno pronunciata da un esponente di governo. Spiega il sottosegretario, di fatto plenipotenziario a Palazzo Chigi, dai maliziosi visto sempre come il potente controllore del premier Giuseppe Conte: «Può piacere o no, ma purtroppo il programma elettorale dei 5 Stelle al Sud ha registrato larghi consensi probabilmente anche perché era previsto il reddito di cittadinanza; credo che abbia orientato invece pochissimi elettori nelle mie zone (il Nord ndr)». Poi, l’affondo destinato a irritare inevitabilmente i pentastellati e Di Maio che già dalla mattina tuonava: «Nessuna marcia indietro sul reddito di cittadinanza e su quota 100». Di Maio replica secco: «A me l’Italia piace tutta». Ma attacca Giorgetti: «Magari è l’Italia che non ci piace, ma con cui dobbiamo confrontarci e governare». Insomma, ribadisce che la Lega resta fedele al contratto ma per la prima volta evidenzia anche il malessere leghista per una misura assistenzialista (anche se Giorgetti non la definisce tale) che potrebbe avere un peso al di là dei decimali in un eventuale naufragio della trattativa di Bruxelles. Il portavoce unico dei gruppi di Forza Italia in parlamento Giorgio Mulè riconosce commentando le parole del sottosegretario: «È già qualcosa…». Giorgetti la mette in modo argomentato ma l’attacco al reddito di cittadinanza risulta anche rafforzato: «Spero che la conformazione finale di questa misura possa produrre qualche risultato, ma uno dei pericoli che vedo io è che rischia di aumentare il lavoro nero, in particolare al Sud». E, comunque a difesa del governo giallo-verde, Giorgetti dice che più le élite lo attaccano “più riscuote simpatia”. Però avverte: «Dura e durerà nella misura in cui potremo fare misure contenute nel contratto di governo. Se però non sarà possibile per colpa o merito altrui, allora finirà. Però spero che in quel momento la parola torni agli italiani. Quindi, se non sarà possibile rispettare il contratto la parola torni al popolo perché senza il suo consenso un governo non può esistere». Insomma, in caso di crisi la Lega ufficializza che ci dovranno essere nuove elezioni. E non quindi una nuova maggioranza di centrodestra da ricostituire in parlamento con un gruppo di responsabili. Il timore leghista infatti sarebbe quello di perdere consensi con manovre di Palazzo, proprio ora che i sondaggi danno il Carroccio sempre più forte. Ma che esista anche la possibilità di un voto anticipato lo aveva già l’altra sera detto chiaramente Silvio Berlusconi che aveva pronosticato “prima dell’estate”. E quindi elezioni politiche o dopo o praticamente concomitanti con il voto europeo. E stavolta molto dipende anche da Bruxelles.
di Paola Sacchi
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