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La legge Mancino: non più al passo coi tempi, Fontana propone l'abrogazione ed è scontro nel governo



Quando una legge contro le discriminazioni può diventarne la prima portatrice. Non manca di coraggio e una buona dose di follia il post di questa mattina, carambolato alla velocità della luce sulle prime pagine di tutte le testate online, a firma del ministro della Famiglia, il leghista Lorenzo Fontana. Già ampiamente noto per le sue idee conservatrici, ai limiti del reazionario, espresse in diverse occasioni in cui è andato contro al comune pensiero (si pensi al suo veto sulle famiglie arcobaleno, diritti per la comunità Lgbt o alle sue radicali posizioni contro la pratica dell'aborto) il ministro fedelissimo di Matteo Salvini ha spiazzato tutti esternando l'intenzione di abolire la legge Mancino.


Emanata con decreto legge nell'aprile del 1993 e poi convertita il 25 giugno dello stesso anno, la legge prende il nome dal suo promulgatore, il democristiano Nicola Mancino. Il provvedimento nacque con l'intenzione di punire e reprimere i crimini d'odio e più specificatamente per contrastare qualsiasi fenomeno di discriminazione e violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, dichiarando punibile qualsiasi manifestazione o forma di aggregazione che si ispirasse a tali principi. Vista la storia italiana, la legge è comunemente intesa come una reprimenda di qualsiasi rigurgito nazifascista e punisce anche l'utilizzo di simbologie legate a suddetti movimenti politici.

Sin dalla sua promulgazione, ovviamente meglio vista da ambienti moderati e della sinistra, diversi sono stati i movimenti antagonisti che miravano a una sua abrogazione o revisione sostanziale: Forza Nuova, in rappresentanza dell'eredità dei valori fascisti, ha da sempre fatto battaglia contro tale normativa, ponendo la sua cancellazione tra i punti salienti del programma, e più recentemente persino la Lega Nord, nel 2014, ha provato a istituire un referendum per la sua abrogazione, proposto dall'attuale leader Matteo Salvini, sebbene non sia stato raggiunto il quorum necessario di 500mila firme.

Pur non essendosi mai pronunciata nel merito specifico, la Corte Costituzionale si è già espressa sull'ipotesi a lungo paventata dagli oppositori sulla illegittimità costituzionale della legge Mancino, secondo loro in deroga all'articolo 21 della Costituzione, quello sulla libertà d'espressione, attraverso leggi analoghe, come la legge 74 del 1958, in cui dichiarò infondate le questioni di legittimità perché l'interpretazione che venne data della volontà del legislatore fu quella di voler reprimere alla nascita qualsiasi fenomeno associativo che si ispirasse al fascismo e non già quella di voler punire anche quei casi isolati di nostalgia verso il regime e forme di libero pensiero più in generale, quelle sì tutelate dall'articolo 21.


Queste, almeno sulla carta, le prerogative che hanno dato origine a tale provvedimento. Sulla carta, appunto, perché come sempre accade la realtà supera ogni forma di previsione, andandogli stretto qualsiasi recinto in cui si tenta di imbrigliarla. E allora, sventato, pensiamo si possa dirlo senza paura di essere tacciati per revisionisti, ogni possibile riaffiorare di movimenti politici di portata nazionale che facciano della segregazione e della discriminazione le loro bandiere, negli anni la legge ha visto la sua maggiore applicazione come aggravante per tutti quei casi di "odio" in cui l'oggetto del dileggio era sempre uno straniero, immigrato illegalmente stando ai grandi numeri e il punito diventava sempre un italiano. Quello che nacque come tentativo di arginare la violenza, anche ideale, contro la diversità si è trasformato in un pericoloso mostro che finisce con l'attaccare proprio chi dovrebbe tutelare maggiormente, una sorta di malattia autoimmune, un organismo schizzato e non più controllabile, sfuggito di mano e che finisce col creare cittadini di serie a e cittadini di serie z, con i primi, i più tutelati, che spesso non sono nemmeno cittadini.


In un clima che è senz'altro cambiato rispetto ai primi anni '90, con tutte le problematiche sociali che sono mutate e in primis col dilagare del fenomeno immigratorio in Italia, la legge Mancino sembra aver perso di aderenza, finendo col punire anche le idee, estreme che siano, che appaiano non conformi al pensiero univoco a cui il ministro Fontana si riferisce. Insomma, quello che doveva essere un tampone e un rimedio contro l'intolleranza e un toccasana per la libertà è finito per reprimerla e ridimensionarla a una libertà di comodo. Essere sovranisti oggi, credere ancora nei valori con cui si è stati educati sembra stia pericolosamente passando per una pratica angusta e che non strizza abbastanza l'occhio al futuro, quello dell'uguaglianza piatta e fine a se stessa, svilita della portata reale del termine, che ci vuole tutti asserviti all'unico grande padrone che è la globalizzazione.


Un pensiero sicuramente fuori dal coro, quello del ministro leghista e che, come c'era da aspettarsi, ha trovato subito sponda nel capo politico della Lega, Salvini, che ha twittato il suo slogan: «Sono d'accordo. Alle idee, anche le più strane, si risponde con le idee, non con le manette». Più, forse troppo, moderati gli altri esponenti del governo che hanno espresso il loro punto di vista nella marea di commenti di sdegno partiti dai fortini della sinistra e tra gli insulti e le minacce di morte risalenti alle frange più antagoniste dei fascisti in tinte rosse. Luigi Di Maio si è subito smarcato, riconducendo altrove i problemi del Paese: «La legge Mancino rimanga dov'è. Non è nel contratto, non è in discussione. Le pensioni d'oro invece devono scomparire alla velocità della luce». Anche il premier Giuseppe Conte non è uscito dai binari, restando fedele al contratto e ribadendo la necessità che la legge resti in vigore: «L'abrogazione della legge Mancino non è prevista nel contratto di governo e non è mai stata oggetto di alcuna discussione o confronto tra i membri del Governo. Personalmente credo che il rispetto delle idee sia un valore fondamentale di ogni sistema democratico, ma allo stesso modo ritengo che siano sacrosanti gli strumenti legislativi che contrastano la propaganda e l'incitazione alla violenza e qualsiasi forma di discriminazione razziale, etnica e religiosa».


Quel che è certo è che, all'indomani del fermo dei tre "premi Nobel" che si sono fatti beccare per i famosi lanci di uova, di cui uno, ai danni dell'atleta di colore azzurra Daisy Osakue li ha resi celebri, quello della fobia da razzismo a tutti i costi, della paranoia di voler difendere sempre gli altri dandosi un po' la zappa sui piedi, è un fenomeno tutto italiano e che se da un lato è giusto, giustissimo, lavorare e vigilare affinché errori già commessi non vengano perpetuati, non è un crimine proporre la revisione di un provvedimento col fine di renderlo equo e più al passo coi tempi che corrono. E corrono velocemente.

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