Mentre dentro il governo si litiga, continuano a passare quasi inosservati i segnali sulla frenata dell’economia. Il rallentamento partito dagli Stati Uniti comincia a farsi sentire anche in Europa. Non stiamo parlando dell’Italia che ha dovuto rivedere le stime di crescita ma della Germania. La locomotiva europea sta perdendo colpi. L’Ufficio federale di statistica Destatis, l’Istat tedesco, ha reso noti i dati sulle esportazioni di novembre, calate dello 0,4% rispetto al mese precedente rimanendo invariate nell’arco di un intero anno. Nello stesso periodo il surplus commerciale della Germania è calato da 23,8 a 20,5 miliardi di euro. Un settore fondamentale per l’industria tedesca come quello dell’export è quindi vicino alla stagnazione.
Il ministro delle Finanze, Olaf Scholz in un’intervista con il settimanale Der Spiegel, aveva detto preoccupato che “il periodo delle vacche grasse è terminato” annunciando per l’anno appena incominciato una flessione delle entrate per il fisco e per la prima volta da sei anni un bilancio pubblico non più in attivo. Il governo ha abbassato le sue previsioni di crescita del prodotto interno lordo dall’1,8 all’1,5%, al di sotto quindi della media europea fissata dalla Commissione intorno all 1,7%. L’istituto economico IFO di Monaco di Baviera, ha abbassato le stime di crescita addirittura all’1,1%. E se la locomotiva tedesca rallenta, l’impatto a cascata si farà sentire a breve, in quei Paesi che più sono legati all’economia di Berlino. Per l’Italia questo significa che ai fattori di debolezza endogeni strutturali si somma un trend generale negativo. Sono mesi che gli istituti economici internazionali sostengono che il ciclo positivo durante oltre dieci anni si sta esaurendo e che dietro l’angolo c’è una nuova fase di recessione. Chi ha messo legna in cascina durante questi anni sarà in grado di fronteggiare la crisi, chi invece, come l’Italia, non ha saputo varare quelle riforme necessarie a cavalcare la congiuntura positiva, subirà un impatto più duro.
Il clima è di estrema incertezza soprattutto politica a pochi mesi da una tornata elettorale difficile quale è quella del voto europeo con l’avanzata delle famiglie populiste che potrebbero stravolgere vecchi equilibri. Pesano anche l’esito incerto della Brexit e la guerra dei dazi scatenata dall’amministrazione Trump. A pesare sull’export tedesco è soprattutto la cattiva performance del settore automobilistico con l’improvviso crollo degli utili e degli ordini. Audi, Mercedes Benz, Bmw o il gruppo Volkswagen sono alle prese con una diminuzione delle vendite in alcuni mercati chiave come quello cinese e asiatici tra il 20 e il 40%.
Nel settore dei veicoli a trazione elettrica i costruttori tedeschi hanno perso definitivamente la leadership e nella tecnologia sono stati superati da Cina e Stati Uniti. E se entra in crisi un settore chiave come quello automobilistico - dal quale in Germania dipendono 800 mila posti di lavoro e ben il 60% della crescita del Pil nazionale -, il rischio di contagio per il resto delle industrie tedesche è molto alto. Per questo il governo è corso ai ripari ed è pronto a varare un piano di emergenza per sostenere il Pil, con investimenti pubblici nelle infrastrutture del Paese. Gli interventi verrebbero adeguati a seconda della gravità della crisi e ammonterebbero da un minimo di 17 ad un massimo di 35 mi- liardi di euro. Sono stati già approvati dal Consiglio dei ministri, sgravi fiscali per i cittadini e le imprese per un ammontare solo quest’anno di 15 miliardi di euro. Si tratta di misure che finora Berlino aveva ostacolato per Paesi in crisi come la stessa Italia, in nome del rispetto della disciplina di bilancio è del rigore finanziario. Ma quando la crisi morde, le regole vengono riposte in un cassetto anche dalla severa Germania.
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