La presidente della Fondazione Guido Carli, Romana Liuzzo, al Sole24Ore
Come un sogno che svanisce. L’Eurozona che rallenta e infine spegne i motori, la crescita dei Paesi più industrializzati del Continente che si ferma. L’Italia che resta sola, col suo debito pubblico, senza il paracadute garantito in questi anni dalla Bce. L’incubo della recessione che ritorna, di una crisi dalla quale non siamo mai realmente emersi. Ma era davvero questa l’Europa nella quale abbiamo riposto ogni speranza, quella immaginata da mio nonno, Guido Carli? È questa l’Unione nella quale si riconoscono ancora i nostri ragazzi? Vent’anni fa, il 1° gennaio 1999, l’esordio della moneta unica. Sembra ieri. Giusto vent’anni fa. E nulla può essere casuale nella ciclicità del tempo che ritorna, dei corsi e dei ricorsi della storia. Non lo è nemmeno la celebrazione in questo 2019 dei dieci anni del premio Guido Carli, il ricordo della sua figura, il riconoscimento che sarà conferito il 10 maggio nell’Aula del Senato agli italiani che hanno portato lustro al nostro Paese nel mondo.
In quel 1999 si completava un processo iniziato anni prima, nel 1992, con la firma del Trattato di Maastricht. Un passaggio che segnava, tra le mille altre implicazioni, anche il lascito del testamento morale dello statista Guido Carli, tra i protagonisti di un cinquantennio di storia politica ed economica del Paese. A buon titolo, si consenta il vanto, il ministro del Tesoro che ha siglato quel Trattato è considerato uno dei padri dell’Unione europea. Dal governatore di Bankitalia, dal presidente di Confindustria, dal senatore Carli giunge fino a noi una lezione, un monito che oggi si rivela quanto mai attuale: bisogna procedere con tenacia e determinazione. Le stesse profuse allora da mio nonno per completare la costruzione della casa europea. Quella casa, lo sapevamo e ancor più appare evidente oggi, è quanto mai incompiuta. Deficitaria. Non è questa l’Europa che Carli ha sognato di costruire. Ma non è un buon motivo per arrendersi all’evidenza. «Bisogna avere la forza di combattere per le proprie idee», è uno dei suoi insegnamenti che conservo con maggiore riguardo. Sembra ancora di sentire la voce del nonno ammonire, esortare ad andare avanti. La stessa voce con la quale, tornando da Maastricht nel febbraio del 1992, mi disse di avere avuto la netta percezione di aver siglato un passaggio storico, «mi tremava la mano mentre firmavo», confessò in uno slancio di umanissima debolezza. In una visione di prospettiva, nell’intuizione dell’economista, era sicuro già allora che l’euro ci avrebbe imposto «dei sacrifici, ma assicurerà benessere ai tuoi figli e alle prossime generazioni», sentì il bisogno di dirmi.
Quasi a rassicurarmi, perché me ne ricordassi, ce ne ricordassimo in momenti difficili come questo. Ecco, io non lo dimentico. Nessuno di noi dovrebbe farlo, nemmeno in tempi segnati da strappi e lacerazioni, da crisi identitarie e comprensibili scoramenti. Perfino dalla tentazione di alcuni di dividere il percorso delle economie solide del Nord da quelle mediterranee più esposte al debito. È in questi momenti che avvertiamo un vitale bisogno di quel che Carli è stato: un tessitore paziente e tenace, un negoziatore instancabile, capace di coniugare il presente dei nostri bisogni con la speranza delle generazioni che verranno. Lo ha fatto e continua di certo a farlo un altro grande italiano che, sempre per un singolare gioco di coincidenze, giusto in questo 2019 concluderà dopo otto anni il suo mandato dopo aver risollevato le sorti della moneta unica: il governatore Mario Draghi passerà alla storia per la capacità mostrata nella gestione delle turbolenza dalla “tolda” della Banca centrale europea. L’ombrello del quantitative easing è stato chiuso. L’Italia ne ha largamente beneficiato. E ora? Le stime della produzione industriale poco incoraggianti, le minacce di declassamento del rating, la fragilità del sistema bancario, le incognite sulla tenuta dei conti ci lasciano la sensazione di viaggiare a fari spenti nella notte. Ma non è così. Una democrazia consolidata come quella italiana ha meccanismi adeguati per evitare rischi al sistema Paese. È la certezza che deve muoverci. A patto di tenere ben presenti i moniti che in una sorta di parallelismo - anche questo non casuale - il governatore Draghi negli ultimi anni e Guido Carli 28 anni fa hanno lanciato. «Un Paese perde sovranità quando il debito pubblico è troppo alto», ammonisce oggi il presidente della Bce. «La modernizzazione dei mercati finanziari non avrà pieno successo - ricordava l’allora ministro del Tesoro Carli all’Associazione bancaria italiana, il 19 luglio 1991 - se la dinamica dei disavanzi pubblici non sarà posta sotto stretto controllo, pre-condizione per il proseguimento e il successo dell’Unione economica e monetaria».
Parole che potrebbero essere state pronunciate in questi giorni. Mi piace qui ricordare che, da governatore di Bankitalia, mio nonno ha avviato un processo di modernizzazione del quale ancor oggi l’Istituto beneficia. Soprattutto in termini di “autonomia ”: una garanzia per l’intero sistema creditizio. Le banche - sono ancora parole dell’“Economista” Carli in occasione della Giornata mondiale del risparmio nel novembre 1960 «devono conciliare l’esigenza di prestare assistenza creditizia in misura adeguata a una economia di sviluppo con quella di tutelare la propria posizione patrimoniale nell’interesse dei depositanti». Sembra un’ovvietà, la storia e la cronaca dei nostri anni ci confermano che è un insegnamento del quale fare ancora tesoro. Il 28 marzo (data della nascita di Carli) il presidente della Repubblica Sergio Mattarella concederà l’onore di ricevermi, in qualità di presidente della Fondazione Guido Carli, e con me parte della giuria del premio: il presidente onorario Gianni Letta; Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria; Urbano Cairo, presidente di Rcs; Claudio Descalzi, ad di Eni; Francesco Starace ad di Enel, tra gli altri. Sarà una delle tappe cruciali del nostro decennale che culminerà con la celebrazione del premio. L’appuntamento è il 10 maggio e sarà aperto dal presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati in un luogo di assoluto prestigio come l’aula di Palazzo Madama. Quegli stessi scranni sui quali Carli ha esercitato il mandato di senatore per due legislature. Sono sicura che quel giorno sentirò una voce echeggiare nell’aula, per ricordare a tutti noi che vale ancora la pena crederci e scommettere nel tempo che verrà. La voce del governatore, del presidente degli industriali, del ministro dell’euro, di mio nonno: Guido Carli.
Romana Liuzzo, Presidente della Fondazione Guido Carli
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