L'ordine arriva dritto dal Viminale e non mira alla diplomazia: «Arrestateli». All'indomani del salvataggio di 49 migranti a largo della Libia da parte della nave Ong Mare Jonio, che batte bandiera italiana, torna a sanguinare la ferita mai sanata dell'immigrazione al tempo dei "porti chiusi". La nave, il cui capomissione è l'attivista di sinistra Luca Casarini, nella serata di ieri ha salvato il gruppo di migranti e, in violazione delle direttive che giungono dall'Italia, ha fatto rotta verso Lampedusa ignorando gli appelli delle motovedette libiche che reclamavano il "carico" umano. Giunta in acque territoriali italiane, la Mare Jonio ha inoltre violato l'alt intimatole dalla Guardia di Finanza, a causa delle «onde alte tre metri» e del «pericolo di vita» per l'equipaggio e per i cinquanta passeggeri già provati dal naufragio, come riporta il dialogo avvenuto tra il capitano dell'imbarcazione del progetto Mediterranea e la Gdf. Momenti di tensione che si sono sciolti poco dopo l'alba, quando alla Mare Jonio è stato concesso di approcciare il porto di Lampedusa e di gettare l'ancora a un miglio di distanza. Poco dopo agenti della Guardia di Finanza sono saliti a bordo per le opportune verifiche documentali e per constatare lo stato dei 49 migranti, di cui uno, un ragazzo gambiano di ventiquattro anni, è stato fatto sbarcare per una possibile polmonite. Secondo quanto riportato da Guido Di Stefano, medico a bordo della nave Ong, «i naufraghi a bordo continuano a vomitare nonostante le medicine, e ho difficoltà di farli uscire per andare al bagno perché è troppo pericoloso», uno dei motivi che avrebbe portato il capitano a ignorare l'alt dell'autorità italiana.
Già nella serata di ieri il ministro degli Interni Matteo Salvini era stato irremovibile nelle sue dichiarazioni, accusando il capomissione Casarini di «favoreggiamento dell'immigrazione clandestina». Per il leghista, infatti, «sembra evidente in base agli elementi certi e ad altri che sono oggetto di approfondimento che c'è un'organizzazione che gestisce, aiuta e supporta il traffico di esseri umani». Salvini si è scagliato contro la decisione della nave Ong di non collaborare con la Guardia costiera libica e di non aver eseguito le direttive della Guardia di Finanza, violazioni che, a suo dire, dovrebbero comportare l'arresto dell'equipaggio e il sequestro della nave. Prosegue dunque la linea dura dei "porti chiusi", quella che considera la Libia un interlocutore credibile nonostante i moniti di associazioni, Onu, Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e dei filmati in cui vengono mostrate le condizioni disumane delle persone "prigioniere" dei centri di detenzione. Intanto dalla Procura di Agrigento si informa che la vicenda «è al vaglio» e che nelle prossime ore si deciderà se aprire o meno un fascicolo sulle comunicazioni via radio tra la Gdf e il capitano della Mare Jonio. A dirigere le operazioni, lo stesso pm Luca Patronaggio che ad agosto scorso iscrisse nel registro degli indagati il ministro Matteo Salvini per la vicenda Diciotti.
Mentre la situazione è ancora in evoluzione, con l'equipaggio che spera di poter attraccare e far sbarcare a Lampedusa i 48 ancora a bordo, dalla scena politica non mancano le reazioni. Per l'altro vicepremier, Luigi Di Maio, «non sarà un nuovo caso Diciotti». E proprio in relazione alla vicenda che vede indagato per sequestro di persona aggravato il ministro degli Interni, su cui sarà chiamato ad esprimersi il Senato nella giornata di domani (20 marzo) per autorizzare o meno il procedimento giudiziario, si sono spese la maggior parte delle dichiarazioni. Per il sottosegretario alla Giustizia in quota Lega Jacopo Morrone è «più che sospetta la voluta coincidenza dell'arrivo di fronte a Lampedusa della nave dei 'centri sociali' Mare Jonio, facente parte del progetto Mediterranea, con il procedimento in Senato sulla Diciotti». Frase che fa eco a molte altre dichiarazioni di colleghi di partito o esponenti del centrodestra, come quella del Presidente della Giunta per le autorizzazioni in Senato Maurizio Gasparri, che parla di «intimidazioni» all'Italia da parte delle Ong «che tanti danni hanno fatto negli ultimi anni, alimentando il traffico di clandestini e favorendo i guadagni di cinici speculatori che in Libia pretendono montagne di soldi da persone in fuga».
Parallelamente, mentre nei pressi di Lampedusa la Mare Jonio violava l'alt della Gdf, di fronte le coste libiche, a largo di Sabratha, si compiva un altro naufragio con una conta di morti ancora non definita (si pensa una trentina), a conferma che le partenze, così come le tragedie, continuano a verificarsi nel silenzio, anche in assenza di operatori umanitari in mare, senza i quali il Mediterraneo non è quel bacino di pace invocato dai sostenitori della dottrina Salvini.
di Alessandro Leproux
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