Quella del branco è una legge legata alla sopravvivenza. In natura ne rispondono quelle specie che sarebbero altrimenti indifese e in balia dei predatori e quei predatori che, senza l'aiuto dei simili, morirebbero di fame. L'uomo, in quanto animale, non si discosta molto da queste verità. Anche noi in passato ci siamo dovuti organizzare in comunità per respingere i predatori e garantirci la sopravvivenza. Si potrebbe quindi desumere che la legge del branco è un perfetto rimedio al rischio per la propria incolumità. Cosa ne è però del branco in una società evoluta, pluralista e che non corre il rischio di essere predata (se non dai suoi stessi simili)? Esiste certamente una fase – che si può definire "sana" – in cui un individuo si interfaccia al branco. Di solito tale fase si identifica nell'età dello sviluppo, dell'abbandono dell'infanzia verso l'ignoto dell'età adulta. In questo periodo è molto facile ragionare "di branco". Tutto è più semplice, filtrato, ridefinito. La logica del branco identifica alcune, poche, inviolabili verità e ci costruisce attorno un pensiero. Così un individuo che inizi a sperimentare se stesso e le proprie facoltà ritrova, rispecchiate nei propri simili, e per questo equamente ripartite, tutte quelle paure ed ansie legate alla crescita e le supera nel naturale processo dell'adolescenza. Non è certamente una regola: vi sono altrettanti casi di individui che non hanno mai trovato nel branco le certezze così come ce ne sono che non sono mai riusciti a staccare quel cordone che li lega in maniera indissolubile al pensiero di massa, condiviso. I primi, che potremmo definire lupi solitari, vuoi per diversa o maggiore sensibilità, vuoi per qualsiasi altra ragione, trovano (o non trovano) in loro stessi le risposte e le certezze per districarsi nella vita. I secondi, gli eterni bambini, restano in un limbo di perpetua ridefinizione, incapaci di prendere in mano le redini della loro stessa esistenza e, di fatto, esistenti solo all'interno del gruppo.
Va da sé che una certa politica preferisca di gran lunga la seconda categoria. Gli eterni bambini sono meglio manovrabili in quanto vittime del pensiero semplificato. Non amano approfondire, alle analisi preferiscono gli slogan, alla sostanza rispondono con la forma. Il branco li ripara. È il loro focolare contro l'incertezza che regna sovrana. Il branco lavora di analogia, con spietata uniformità di giudizio. Il forestiero diventa estraneo, straniero. Il diverso si associa al nemico. Persino chi dissente dal pensiero uniformato diventa estraneo, schierato dalla parte sbagliata in un'eterna contrapposizione i cui termini di paragone restano vaghi anche per chi la formula. Il branco è monocromatico. All'infinita scala di grigi contrappone il bianco e il nero, il giusto e lo sbagliato. Proprio per la sua incapacità di flettersi, di "elasticizzarsi" e, in definitiva, di crescere, il branco minimizza o ingigantisce secondo necessità. Minimizza di fronte alle atrocità subite da quelli che chiama estranei e che in fondo lo spaventano, perché non è in grado di concepire nulla che non provenga dalla sua stessa fonte. Ingigantisce quando una tesi è terreno fertile per la propagazione delle proprie certezze. Il branco odia il contraddittorio, non concepisce la pluralità di opinioni e, in mancanza di elementi con cui scardinare i ragionamenti al di fuori di sé, etichetta, generalizza, uniforma la realtà in un formato che possa comprendere e digerire. La più fondamentale tra le regole del branco è eleggere i suoi capi tra quelli che meglio e più strenuamente intendano la realtà sotto questa lente. Il branco ha mire espansionistiche e sfrutta gli eventi per rinfoltire le sue fila. Più una società è ingiusta, divisa, ferita e sofferente, più si affilano le armi del branco che, per mezzo della sua semplificazione, punta a convincere e coinvolgere gli individui esterni ad esso. Per chi lo vede da fuori, infatti, il branco è tutto questo, ma per chi, rinnegata la sua autodeterminazione, vi si affacci, esso diventa rifugio sicuro dell'assenza di pensiero critico.
È il branco che legittimò il regime fascista in Italia, come legittimò (e tutt'ora legittima) altrove esperienze analoghe di assenza di pensiero critico. È stato il branco, favorito dalle critiche circostanze sociali, a fare da cassa di risonanza al pensiero uniformato e semplificato che è naufragato nelle dittature. Non è forse un branco quello che oggi inveisce, per mezzo social o nelle sporadiche manifestazioni di piazza (rosse, nere, gialle o verdi), contro chi dissente dal pensiero preconfezionato? Non è branco quello di Avellino che aggredisce una manifestante non in linea con il pensiero Salviniano, arrivando alle mani? Non è branco il manipolo di militanti a volto coperto che spaccano vetrine, incendiano cassonetti e levano voce e spazio a chi vorrebbe davvero manifestare? Ma più di tutti, non è branco chi, consapevole di tutto, sfrutta a proprio vantaggio la paura, l'insicurezza, l'insofferenza altrui veicolandola nelle rigidità del pensiero semplificato?
Ieri a Salerno, dove il ministro degli Interni era in "visita" per un comizio elettorale, da una dei balconi che si affacciano su piazza Portanova, è comparso uno striscione che recitava: “Questa Lega è una vergogna”. Il vicepremier, infastidito, ha chiesto ai propri membri della scorta (poliziotti in servizio, non agenti di security privata) di recarsi nell'appartamento, in cui vive una signora che, dopo la sgradita improvvisata, ha rimosso la sua protesta a caratteri cubitali. Ha ragione, Salvini, quando dice che il fascismo non tornerà. Finché ci saranno dissenso e pensiero critico e le vecchiette ostenteranno con fierezza i loro lenzuoli dai balconi, il fascismo resterà soltanto un orrendo ricordo del passato.
di Alessandro Leproux
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