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La riforma che taglia il numero dei parlamentari non interessa a nessuno ma è scritta male



Interesse dei deputati: zero. Interesse dei giornalisti: zero. Interesse dell’opinione pubblica italiana: meno di zero. Nessuno ha voglia di cimentarsi con le ‘noiose’ riforme. Riforme che, sempre in teoria, porterebbero il Paese a trovarsi davanti un taglio secco di parlamentari (da 630 a 400 alla Camera e da 315 a 200 al Senato, compresi gli eletti all’Estero (da 18 a 12): in totale, esultano i 5Stelle, “meno 345 poltrone in meno” rispetto alle attuali 945 e “un risparmio”, tema sempre caro ai 5Stelle, di “500 milioni”. Stanno davvero così le cose, al netto del fatto che servono – dopo la seconda lettura di ieri della Camera (la seconda su quattro) altri due (e forse tre) passaggi parlamentari prima che la riforma ‘Fraccaro’ (Riccardo, dal cognome del ministro alle Riforme proponente, ovviamente dell’M5S)?


I 5Stelle festeggiano, ma c’è poco da festeggiare…

La riforma costituzionale “è” una cosa importante, anche se non frega nulla a nessuno, neppure ai pentastellati, che si fregiano del ‘merito’ di portarla ‘a dama’. Tanto che ieri, che dovevano ‘festeggiare’ il “taglio dei parlamentari” (le famose ‘poltrone’) fuori dal Parlamento, hanno preferito evitare: troppi sono i guai che hanno in casa e al governo.

Per Luigi Di Maio, che ama parlare di ‘soldi’ e non di qualità della democrazia, la riforma equivale “a un risparmio di mezzo miliardo a legislatura” (falso). Per il ministro Fraccaro “il Parlamento raggiunge una tappa storica. Con i 5 Stelle al governo il cambiamento è reale”.

Meglio, però, ora, analizzare la riforma costituzionale in essere e cercare di individuare punti forti e punti deboli.


Cosa e come è strutturata la ‘riforma Fraccaro’

La riforma costituzionale della maggioranza (5Stelle ‘gaudenti’, leghisti ‘silenti’) che taglia di oltre un terzo il numero di deputati e senatori ha dunque, ieri, compiuto un importante passo avanti. La Camera ha approvato il testo, in seconda lettura, confermando quello trasmesso dal Senato. Si tratta, come si diceva, della prima delle due letture conformi prevista per le riforme costituzionali e questa potrebbe essere varata definitivamente entro l’autunno, prima cioè che inizi la sessione di bilancio (il 15 ottobre) che quale preclude l’esame di ogni altro provvedimento. Fraccaro può rallegrarsi del fatto che il testo sia stato sostenuto non solo da M5s e Lega, ma anche da Fi e Fdi (310 i sì finali), mentre ad opporsi è stato solo il centrosinistra (Pd, Leu, +Europa, Cp e Svp con 107 no).


Il dibattito in Aula scorre via senza entusiasmo…

Nella sua dichiarazione di voto Vittoria Baldino (M5s) sostiene che un numero inferiore di parlamentari porta “maggiore autorevolezza e responsabilità” come dimostra il fatto che negli Usa i senatori di ciascuno Stato sono solo 2. Tesi appoggiate da FdI mentre FI vota a favore ma con Francesco Paolo Sisto solleva una serie di caveat, analoghi alle critiche del Pd, che lo spinge a dire che nella decisiva lettura parlamentare l’assenso degli azzurri dovrà essere conquistato: “il nostro è un sì, ma condizionato”.


Le critiche del Pd mentre FI e FdI votano a favore

È vero – sostiene, invece, il Pd - che si taglia il numero complessivo dei parlamentari ma lo si fa mantenendo il “bicameralismo perfetto” (vuol dire che Camera e Senato fanno le stesse cose, in soldoni). L’Italia è l’unica Repubblica parlamentare ad averlo: era meglio un unica Camera politica di 500 deputati e un Senato delle Regioni, come prevedeva la riforma Boschi, sostengono nel Pd, forse dimentichi del fatto che, quando Renzi propagandava la ‘sua’ riforma, i manifesti elettorali per il referendum costituzionali contrabbandavano un “taglio di poltrone” che non c’era (c’era, però, la differenziazione delle funzioni tra le due Camere, principio sacrosanto e ora abbandonato).


Pd e LeU attaccano Fico: “Non sei imparziale”

In ogni caso, Pd e Leu, che pure si sono astenute sull’introduzione del referendum propositivo, restano fortemente contrari alla riforma per come è concepita. In particolare, Pd e Leu hanno evidenziato il rischio che i partiti che incasseranno alle elezioni non più del 7% potrebbero non riuscire a costituire un gruppo parlamentare, riducendo così la rappresentatività. La discussione sulla riforma è stata accompagnata anche da duri scontri in Aula tra il Pd e il presidente Roberto Fico, a causa della dichiarata inammissibilità di una ventina di emendamenti ritenuti estranei alla materia (alcuni erano sul voto ai 18 enni per eleggere il Senato, tema contenuto in una proposta ad hoc dei 5 Stelle). I dem sono arrivati a definire “non imparziale” Fico, ‘colpevole’ di favorire la maggioranza. Il taglio dei parlamentari “è uno spot elettorale dannoso”, afferma il costituzionalista dem Stefano Ceccanti. Per Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato, si tratta di “un primo passo verso una deriva autoritaria”. Contrario alla riforma anche Riccardo Magi di +Europa, secondo il quale il vero obiettivo dei gialloverdi è sancire “la fine del Parlamento”. “Lo spirito con cui si lavora sulla Costituzione non può essere quello della ‘dittatura della maggioranza”, sostiene Leu con il suo Federico Fornaro.


La compressione ‘di fatto’ dei partiti minori

La parallela riduzione di eletti nelle due Camere, in effetti, di fatto comprimerà i partiti minori, non solo quelli di centrosinistra, ma anche FdI o FI (almeno secondo gli attuali sondaggi) che faticheranno a entrare in Parlamento (specie al Senato) e a formare propri gruppi autonomi, come dimostra, numeri alla mano, lo stesso Fornaro, esperto (se non vero ‘mago’) di sistemi e leggi elettorali. Stefano Ceccanti (Pd) parla di “taglio casuale numerico” solo per averne in cambio uno “spot elettorale”, mentre Riccardo Magi (+Europa) rimprovera i colleghi della maggioranza di non essere stati liberi nel decidere, accusa fatta anche da Simone Baldelli (FI), uno dei quattro azzurri a votare contro in dissenso dal proprio gruppo.


Manca, però, almeno per ora, la maggioranza assoluta

Forza Italia, si diceva - pur con diverse defezioni di singoli in disaccordo dalla linea del gruppo - approva la riforma, e pure Fratelli d’Italia. Ma è proprio l’ampia maggioranza trasversale a non ‘reggere’ di fronte all’evidenza del pallottoliere: i sì si fermano a quota 310 (107 i contrari), numeri che, se mai si dovessero ripetere in occasione della quarta ed ultima lettura da parte della Camera, non consentirebbero alla riforma di venire approvata, in quanto sarà necessaria la maggioranza assoluta (316 deputati), mentre per evitare il referendum confermativo occorrerà la maggioranza dei due terzi. I gialloverdi, tra deputati che non partecipano al voto e in missione, ‘perdono’ 81 voti (12 i leghisti e 13 i grillini che risultano assenti ‘ingiustificati’). Sulla carta, invece, sommando i numeri dei quattro gruppi (M5S, Lega, FI, FdI) che hanno votato a favore della riforma il totale sarebbe dovuto essere di 407 sì (o poco meno, considerando le assenze fisiologiche). Morale, se la maggioranza gialloverde vorrà davvero approvare, in via definitiva, la riforma costituzionale targata Fraccaro converrà che si presenti, all’approvazione finale del testo, a ranghi compatti, altrimenti potrebbe anche non farcela.


Il Rosatellum: la folle distribuzione regionale degli eletti

La riforma approvata dalla Camera andrà ‘modellata’ sull’attuale sistema elettorale, il Rosatellum, un mix di collegi proporzionali plurinominali (63%) e di collegi maggioritari uninominali (37%) e avrà importanti ripercussioni geografiche che distorceranno la rappresentanza, favorendo sostanzialmente le regioni più popolose (dove, in ogni caso, i collegi, specie al Senato, diventeranno enormi, se non ‘monstre’) a scapito di quelle più piccole che vedranno la loro rappresentanza, se non azzerata, quantomeno ridotta, di fatto, al lumicino. Fatte salve, ovviamente, le regioni a Statuto speciale e quelle che hanno, al loro interno, minoranze linguistiche e culturali costituzionalmente garantite, ma pure loro assai a rischio. Certamente, in ogni caso, la riforma Fraccaro sarà oggetto di critiche da parte delle Regioni che potrebbero avere da ridire su una riduzione della rappresentanza che garantisce di meno le varie composizioni territoriali e, soprattutto, i diritti delle minoranze o, nella fattispecie, di centri minori. Ovviamente, la variazione percentuale è simile, ma non uguale, per tutte le regioni e naturalmente non tocca la piccolissima Valle d’Aosta che, avendo già oggi un solo parlamentare, non potrebbe scendere a zero. L'altra regione piccola, il Molise, perderà invece un parlamentare su tre. “In questo modo sarà compromesso un equilibrio che finora ha assicurato un’equa rappresentanza di tutti i gruppi linguistici” obietta, a esempio, la Svp che ha votato contro.


di Ettore Maria Colombo

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