“Ridurre, in questo modo, il numero dei parlamentari distrugge la rappresentanza democratica. Siamo alla follia. Il combinato disposto del taglio del numero dei parlamentari (da 630 a 400 alla Camera, da 320 a 200 al Senato, totale: meno 400 scranni, cadreghe, poltrone, etc., nella retorica ‘anti-Casta’ dei 5Stelle, cui si accoda la Lega, ndr.) e del Rosatellum (la legge elettorale in vigore, ndr.) produrrà un effetto distorsivo nella rappresentanza, con soglie di sbarramento che passeranno, dal formale 3%, anche al 20% e oltre a causa dei collegi elettorali che, soprattutto al Senato, diventano enormi e ingestibili tanto da svilire la rappresentanza. In pratica, specie al Senato, partiti dell’8-10% rischiano di non eleggere nessuno perché la soglia di sbarramento implicito diventa altissima, 20%”, è la denuncia del deputato di LeU, Federico Fornaro. Terrorismo psicologico per impedire che la riforma passi? No, dati e numeri reali, tabelle e simulazioni alla mano.
Gli effetti del Rosatellum e la ‘profezia’ di Verdini
Qualche esempio? Prendiamo il Senato della Repubblica e ricordiamo che – particolare da tenere bene a mente – il Rosatellum è un mix (imperfetto) di collegi plurinominali, dove si vota con un sistema perfettamente proporzionale e una soglia di sbarramento fissata, per legge, al 3% dei voti, e di collegi uninominali che seguono la logica classica del sistema maggioritario (“il primo prende tutto”, secondo il vecchio adagio del sistema elettorale inglese, the first past all). Un mix fissato, nel Rosatellum, al 63% per la parte proporzionale e al 36% per la parte maggioritaria ‘secca’. Come spiegava a Berlusconi prima e a Salvini poi, un altro mago dei numeri, Denis Verdini (il ‘Celso Ghini’ della desta italiana), e come sa bene ancora oggi (lui, Verdini), “chi si aggiudica, se non tutti, i tre quarti dei collegi uninominali maggioritari, ha vinto le elezioni. I 5Stelle, alle ultime Politiche, non hanno preso la maggioranza assoluta, con il 33% dei voti, per un soffio. La Lega di Salvini, con i sondaggi attuali (oscilla intorno al 36-38% dei voti, ndr.) potrebbe andare alle elezioni da sola e vincerle, ottenendo la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, senza neppure doversi alleare con Forza Italia e Fratelli d’Italia, cosa che potrebbe fare, volendo, dopo, in Parlamento, arrivando, di fatto, a una maggioranza di due terzi dei seggi con la quale si eleggerebbe comodamente il prossimo presidente della Repubblica e si potrebbe fare le riforme”.
Come cambierebbe lo scenario con ‘il taglio netto’
Una drastica riduzione del numero dei parlamentari (-230 alla Camera e -115 al Senato, fatti salvi i senatori a vita) avrebbe – e avrà – conseguenze devastanti, sulla rappresentanza politica dei vari partiti e sulla stessa concezione basilare della democrazia rappresentativa. “Meno poltrone, più democrazia!” urlano i 5Stelle. Vero? No. Meno poltrone, meno democrazia. Infatti, oltre alla soglia ‘esplicita’ di sbarramento (il 3% nel Rosatellum), scatta una soglia ‘implicita’ legata al fatto, semplice e banale ma devastante, per la rappresentanza, che il numero dei deputati e, soprattutto, dei senatori da eleggere diminuisce drasticamente. Soprattutto al Senato, dove la maggioranza delle regioni italiane, tranne quelle popolose, non eleggerà più di 4 senatori, nei collegi proporzionali, e un numero molto basso (tre), fissato per legge, nei collegi uninominali. Insomma, non solo per le liste ‘minori’ (dal 3% al 5% dei voti, che dovrebbero avere il diritto, in base alla soglia di sbarramento, di eleggere), ma anche per liste ‘maggiori’ (tra l’8% e il 10%, fino al 20%) sarà praticamente impossibile ottenere eletti, al Senato.
Qualche esempio. Nei collegi plurinominali del Senato, quelli che si eleggono con il sistema proporzionale, in Piemonte come in Veneto, la soglia sbarramento implicita sarebbe dell’11,1%, in Friuli del 25%, in Liguria del 33,3%, in Toscana del 14,3%, in Umbria del 25%, Marche al 33%, in Basilicata e Calabria del 25%, Abruzzo e Sardegna 33%. Solo in Lombardia (5,3%) si abbasserebbe drasticamente, ma anche in regioni grandi farebbe male (Lazio al 9,9%, Emilia all’11%, Campania al 9,9%, Puglia al 12,5%, Sicilia al 10%) rendendo praticamente impossibile, stando agli attuali sondaggi, far ottenere eletti a partiti come FI e FdI.
Nei collegi uninominali, poi, il cui numero viene abbattuto con l’accetta, tranne che nelle regioni più popolose, dato che vige il principio del ‘primo prende tutto’, solo partiti che possono contare percentuali dal 20% in su hanno eletti. Ne consegue che, tranne un piccolo “diritto di tribuna” nelle regioni più grandi, FI, FdI e, in parte, persino Pd e M5S in molte regioni italiane sarebbero spazzati via.
La denuncia di Fornaro (LeU), il ‘mago’ dei numeri
I numeri di queste simulazioni ce li ha forniti, appunto, Federico Fornaro, deputato e capogruppo di LeU alla Camera, che è un ‘mago’ di sistemi elettorali e politici. Uno che, per capirsi, persino la Lega invidia, tanto che il capogruppo leghista, Riccardo Molinari, una volta gli disse “quando vuoi venire con noi, diccelo, abbiamo bisogno di gente preparata come te, nel nostro partito…”. La sua opinione è, di certo, di parte, ma suffragata, sempre, da dati e tabelle che porta con sé. Come lui, in Parlamento, ce ne sono solo altri due, esperti: il deputato renziano del Pd, Stefano Ceccanti, costituzionalista di vaglia, e l’ex deputato del Pdl-FI Peppino Calderisi. Fornaro, che viene anche chiamato il “Celso Ghini della sinistra” (Ghini era il mago dei sistemi elettorali nel Pd e, insieme a Stefano Draghi, sfornava dati e proiezioni, al ‘Botteghone’, ancora prima del Viminale…), dunque, sa di cosa parla. La riforma Fraccaro che taglia, ex abrupto, il numero dei parlamentari, “è un aborto democratico, prima ancora che politico”.
Il ‘pacchetto Fraccaro’: due fregature in un colpo solo
Volendo seguire la retorica dei 5Stelle e del ministro proponente le riforme istituzionali, Riccardo Fraccaro, il Paese dovrebbe esultare, trovandosi davanti un taglio secco di parlamentari (da 630 a 400 alla Camera e da 315 a 200 al Senato, compresi gli eletti all’Estero, da 18 a 12): in totale, esultano i 5Stelle, “345 poltrone in meno”, rispetto alle attuali 945 e “un risparmio” di “500 milioni”.
Il disegno di legge costituzionale che dispone il taglio del numero dei parlamentari è stato approvato in prima lettura dal Senato (7 febbraio 2019) e dalla Camera (9 maggio 2019) e ne manca, ora, l’approvazione in seconda lettura. Palazzo Madama inizierà le sue votazioni l’11 luglio e, se approvasse il testo senza modifiche, mancherebbe solo l'ultimo passaggio a Montecitorio, previsto a settembre. Il progetto di riforma prevede la riduzione del numero dei senatori da 315 a 200 e quella del numero di deputati da 630 a 400. Il totale dei parlamentari eletti - senza quindi contare i senatori a vita - scenderebbe così da 945 a 600.
Certo è una riforma, quella Fraccaro, che, toccando e cambiando diversi articoli della Costituzione, deve seguire un iter ‘speciale’, quello di tutte le riforme costituzionali. La procedura (cioè, appunto, la Costituzione) prevede, infatti, che ogni riforma istituzionale debba esaminata in ‘doppia lettura’: le Camere deliberano una prima volta (cosa che hanno già fatto: il Senato il 7 febbraio, la Camera il 10 maggio), dopo si fermano per ‘riflettere’ tre mesi e, appunto, dopo tre mesi, esaminano nuovamente il testo. Devono trascorrere necessariamente tre mesi, dalla prima lettura del Senato come della Camera, perché così prevede l’articolo 138 della Costituzione. Le Camere però, nella seconda lettura, quella definitiva, non possono modificare il testo della riforma, ma solo approvarla o respingerla. Ove non vengano raggiunti i due terzi dei voti (il che così sarà) è possibile adire a referendum costituzionale. Ma quale partito sarebbe così ‘matto’ da indire un referendum di fronte a una propaganda, quella grillina, che griderebbe “volete mantenere la Casta‼!” chiedendo agli italiani “volete voi, invece, tenerla in piedi?”. Nessuno, ovviamente, si sognerebbe mai di farlo.
Inoltre, oltre al ‘radicale’ taglio del numero dei parlamentari, al Senato arriverà a breve, sempre in seconda lettura, la riforma dell’articolo 71 Costituzione che introduce il referendum propositivo con corsia preferenziale. Riforme radicali, appunto, di cui si parla poco, o quasi per nulla, ma che svuoterebbero, a loro volta, il potere del Parlamento e i principi della democrazia rappresentativa.
Il ‘combinato disposto’ delle riforme Fraccaro corrisponde infatti a quel principio della “democrazia diretta” che è un obiettivo primario, per i 5 Stelle, entrati in Parlamento, come si ricorderà, già nella passata legislatura, per “aprirlo come una scatoletta di tonno” e poi, magari, buttare via, con la scatoletta, la democrazia rappresentativa. Infatti, il superamento del Parlamento è un tema che affiora spesso nei progetti di Casaleggio jr, tutore dell’azione politica grillina, come già lo era del padre, Gianroberto Casaleggio come, ovviamente, del Fondatore, Beppe Grillo.
Fin qui, si potrebbe dire, come nel famoso film francese, L’Haine (L’odio), in cui un ragazzo cadeva da un grattacielo, “tutto bene” perché “l’importante non è la caduta, ma l’atterraggio”. Già, ma il problema è quello: “l’atterraggio”. L’effetto cioè, della riforma Fraccaro sulla legge elettorale.
L’eterogenesi dei fini: la pdl Quagliariello-D’Alema…
La cosa più ‘divertente’ di tutte è che i pentastellati ‘non’ si rendono conto che la loro riforma è una ‘vittoria di Pirro’. Dati i sondaggi che oggi (non) arridono al Movimento, infatti, e che danno l’M5S molto sotto la soglia del 20% (intorno al 17-18%), sarebbero proprio loro a pagare – nelle regioni piccole come nelle regioni medie – maggior pegno: si troverebbero, cioè, con un numero assai basso di eletti. La parte del leone la farebbe, ovviamente, la Lega, FdI – che pure, altro mistero glorioso – voterà ‘sì’ alla riforma – verrebbe, di fatto, spazzata via e FI rischierebbe, di fatto, l’estinzione, tranne un piccolo diritto di tribuna da prendere – sempre che riesca a risalire dall’8% al 10% e anche sopra – nelle regioni più grandi. Il Pd, invece, si salverebbe, ma per il rotto della cuffia, almeno nelle zone del centro Italia. Insomma, il Parlamento che ne verrebbe fuori sarebbe un Parlamento a larghissime chiazze verde, qualche isola rossa e qualche altra isola gialla, con azzurri e neri cancellati, per tacere dei partiti più piccoli, cui la gara nemmeno conviene. Questo al Senato, perché alla Camera sarebbe un po’ meglio, ma non di tanto. I 5Stelle vogliono fare questa fine? Contenti loro, per carità, contenti tutti, ma stanno per consegnare il Paese ‘dritto per dritto’ nelle mani di Salvini, quando, prima o poi, si tornerà a votare, magari nel 2020.
Ma perché, è il domandone finale, i 5Stelle hanno sposato una causa che li condanna, sostanzialmente, alla sconfitta? Perché, per non saper né leggere né scrivere, hanno ‘copiato’ letteralmente – e hanno anche avuto l’impudicizia di dirlo – il progetto di legge, a prima firma Quagliariello (Gaetano, allora senatore Ncd-Ap) e sostenuto da D’Alema (allora non eletto) che questi due ‘scienziati’ della Politica presentarono, nel 2015, per cercare di controbattere e di contrapporsi alla riforma costituzionale di Renzi-Boschi. Sostenenevano che ‘quel’ progetto di riforma istituzionale andava bocciato, come poi realmente avvenne nelle urne, e pensarono bene, per correre dietro alla retorica ‘anti-Casta’, di proporre il taglio drastico del numero dei parlamentari. “Abbiamo copiato, di sana pianta, la pdl di Quagliariello” ha confessato lo stesso Fraccaro a un senatore di sinistra, durante i lavori al Senato. “Bravi, complimenti!”, è stata la risposta del senatore, “vi siete fregati con le vostre stesse mani!”. Del resto, chi di spada ferisce, di spada perisce.
di Ettore Maria Colombo
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