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La scure di Bruxelles sul debito italiano, ma per Salvini «è finito il tempo delle letterine»



Archiviata la stagione della campagna elettorale, il governo si rituffa nelle questioni di peso e non è un caso che, ribaltati i rapporti di forza nella maggioranza, sia proprio il vicepremier leghista Matteo Salvini, per mezzo Facebook, a stilare l'agenda dei prossimi mesi. Superata l'ubriacatura da consensi, su Salvini ora incombe la scure della Commissione europea e la procedura di infrazione in capo all'Italia, che potrebbe concretizzarsi nell'amara "letterina" da Bruxelles già a fine di questa settimana o della prossima. Ovviamente sotto la lente dei commissari Ue c'è il debito italiano non esattamente sotto controllo (assestatosi attorno al 132% del Pil nell'ultimo anno) e soprattutto l'agenda economica del governo, affatto indirizzata verso il contenimento del debito e della spesa pubblica, ma intenzionata a rilanciare con il progetto di una flat tax che dovrebbe costare 30 miliardi. «Il voto di domenica è stato una sfiducia nei confronti dell’Europa fondata sui tagli. A Bruxelles si mettano al centro il lavoro, il tasso di disoccupazione, l’economia reale rispetto allo spread e alla finanza», la stoccata del ministro degli Interni, secondo cui la consultazione europea ha espresso un forte segnale verso cui le istituzioni Ue non possono restare indifferenti. Per Salvini, che a pochi giorni dal voto aveva detto che se fosse servito si sarebbe infranto il limite del 3% del rapporto debito/Pil, causando un'impennata dello spread, «non siamo noi che vogliamo sforare. Se noi fossimo costretti a rispettare numeri e vincoli vecchi, il debito crescerebbe. Noi vogliamo ridurlo e avere il credito delle istituzioni europee per fare il contrario di quello che hanno fatto i Monti e i Gentiloni: ossia restituire soldi».


L'intenzione chiara del vicepremier in ambito europeo è quella di provare a ridefinire le regole, ma il margine di manovra a Bruxelles non è certo quello di un Parlamento nazionale e, seppur si sia registrato un incremento delle forze sovraniste rispetto alla tornata elettorale del 2014 (25% dei voti contro il 20% scorso), queste non sono riuscite a sfondare e soltanto una riorganizzazione che vedrebbe confluire tutti gli euroscettici in un unico gruppo al Parlamento Ue, consentirebbe loro di avere la forza politica per avere voce in capitolo sui tavoli di lavoro. Ma la famiglia dei nazionalisti, dei conservatori e euroscettici è piuttosto variegata e al suo interno emergono differenze e interessi difficilmente conciliabili. Se, ad esempio, Salvini può contare sull'appoggio di Marine Le Pen (il cui partito ha superato l'En Marche di Macron nei risultati), non è affatto scontata l'alleanza con l'ungherese Viktor Orban, ancora formalmente all'interno dei Popolari (seppur sospeso) e dalle cui scelte nei futuri schieramenti dipenderà non poco.


E frattanto che le regole resteranno quelle in vigore, il prossimo richiamo di Bruxelles all'Italia potrebbe portare sanzioni per circa 4 miliardi. Per ora Salvini insiste sull'irremovibilità delle proprie considerazioni e per lui «è chiaro che non si alzano le tasse, che l’aumento dell’Iva non esiste», relegando l'aumento dello spread e dell'incertezza dei mercati a «chi tiene sotto scacco l'Italia e vuole che resti ancorata a regole vecchie». Per il vicepremier leghista, la priorità è quella di ridiscutere i vincoli per mezzo di una «grande conferenza europea sul lavoro, sulla crescita, su investimenti e debito pubblico e anche sul ruolo della Bce, garante della stabilità e del benessere», assemblea che coinvolga «tutti i protagonisti della nuova Europa, tutti, anche popolari e socialisti, che hanno capito il messaggio di domenica». Una partita tutta da giocare e per nulla scontata, come vorrebbe il leghista. Infatti la nuova Ue di cui parla, seppur molto frammentata, ben più rispetto alla sua precedente composizione, sarà a chiara matrice europeista coi liberali e soprattutto i Verdi (spinti dagli exploit tedeschi e francesi) che giocheranno un ruolo importante nella formazione di una maggioranza che contrasti l'ascesa nazionalista.


di Alessandro Leproux

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