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La simulazione incarnata


di Michele Lo Foco

Lo spettacolo cinematografico, come noto, non è di per sé capace di soddisfare tutte le aspettative, ma attraverso le storie e la capacità di un regista di creare immagini in movimento, suscita nello spettatore sensazioni differenti.

Il cinema è pertanto un mezzo di condivisione di realtà diverse, che stimolando nel nostro cervello effetti, giunge a risultati che costituiscono in definitiva il successo partecipativo o la più totale indifferenza.

Quella che viene definita dagli studiosi ed in particolare Vittorio Gallese e Michele Guerra “la simulazione incarnata” è un processo tramite il quale, guardando un film, mettiamo a disposizione della nostra immaginazione quei mezzi che normalmente usiamo per interagire col mondo, rapportandoci con le varie situazioni che ci vedono partecipi o protagonisti.

Questi mezzi non sono altro che i circuiti nervosi o neurali che vengono riutilizzati dal cervello per condividere le immagini filmiche, in una ripetizione di atmosfere ricreate dal regista.

Detto più semplicemente se assistiamo ad una scena d’amore i nostri circuiti nervosi utilizzano la stessa intensità che hanno impiegato nella nostra realtà amorosa per farci condividere quello che vediamo sullo schermo.

I nostri neuroni specchio vengono attivati dalle immagini, ma non solo: contribuiscono al miglior risultato sia il buio della sala sia l’immobilità del posto, costringendo la nostra immaginazione, non distratta da altro, a lavorare a pieno ritmo.

Ovviamente, ma vale anche per la realtà di tutti i giorni, l’intensità della risposta neurale dipende dalla capacità dei fatti di creare emozioni, e questo vale anche per l’arte, la musica, la pittura, la scultura. Non a caso queste discipline sono considerate democratiche.

Talvolta contribuiscono alla risposta elementi che potremmo definire “connessi” tra i quali principalmente la memoria, ma anche lo stato di salute fisica e mentale.

E’ pertanto comprensibile come sia maggiormente influenzato dalle immagini chi sia stato colpito da un lutto o che sia per qualche motivo depresso.

Ma è inevitabile che immagini di nessuno spessore, di nessuna capacità relazionale, ma anche di nessuna comicità non riescano ad attivare alcun circuito, risultando pertanto alla fine inutili e non partecipate.

Il cinema di ieri era molto curato sia dal produttore che dal regista, essendo prevalente il risultato al botteghino e la stima dell’ambiente.

Oggi effetto “tax credit” in Italia è questa forma di indifferenza ai risultati che deriva principalmente dalla mancanza di una vera coscienza professionale, tanto che l’effetto neurale di cui sopra è ottenuto non più dall’intensità delle immagini ma dal “genere” del prodotto, che in parte approfitta della quotidianità degli avvenimenti e dalla loro spesso notevole drammaticità.

Pertanto il mercato attuale è mosso dal genere, e sempre meno sono i film dei grandi maestri che riescono, come nel capolavoro di Robert Bresson “Au hasard Balthazar” (1966) a farti affezionare ad un asino.

Al contrario di quanto succede nel nostro paese, gli Oscar americani più importanti sono andati ad una produzione indipendente ed al suo film sorpresa, che rappresenta, in modalità popolare, la rivincita del cinema di invenzione e del cinema nuovo, a dimostrazione del fatto che quando lo Stato imbavaglia la libertà di espressione i risultati sono modesti.

E un plauso va alla distribuzione indipendente IWonder, che partendo dagli eventi, non ha tradito il suo ruolo di valorizzatrice della qualità.

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