L’albero più vecchio d’Europa si trova in Italia, nel parco del Pollino, al confine tra Calabria e Basilicata, a quota duemila metri. Si tratta di un pino loricato che, con i suoi 1.230 anni, strappa il record ad Adone, un altro albero situato in Grecia, che ne ha 1.076. Italus, questo il nome dell’albero vivente più anziano d’Europa. L’età è stata stabilita con l’acceleratore di particelle Tandetron del Centro di fisica applicata datazione e diagnostica del dipartimento di Matematica e Fisica “Ennio De Giorgi” dell’Università del Salento, specializzato nel campo delle tecniche nucleari per la datazione e le analisi isotopiche dei materiali.
Gli scienziati del Cedad hanno usato una serie di anelli di accrescimento annuale di Italus come archivio per ricostruire il contenuto di radiocarbonio nell’aria degli ultimi 1.230 anni appunto. Il radiocarbonio, noto per l’uso nella datazione di reperti archeologici, si produce in continuazione nell’atmosfera della Terra per effetto dei raggi cosmici che provengono dal Sole e dal resto dell’universo. Quanto più intenso è il bombardamento di raggi, tanto più radiocarbonio si produce venendo assorbito dagli organismi viventi. Ogni singolo anello di Italus è stato scandagliato con questo particolare metodo.
Per quanto riguarda gli scenari futuri, lo studio dell’età degli alberi millenari è utilissimo agli scienziati per studiare i comportamenti anomali del sole attraverso l’analisi delle quantità di radiocarbonio. Grazie ad Italus è stato identificato un aumento anomalo dell’attività solare, detto Miyake, nell’anno 993-994 d.C.
Il professor Gianluca Quarta, docente dell’Università del Salento e co-autore della scoperta, si esprime così:”La sfida ora è identificare altri eventi di questo tipo, certamente ve ne è stato un altro ancora più intenso nel 774-775 dopo Cristo, per stabilirne la natura e l’eventuale periodicità. Con la consapevolezza che”, prosegue Quarta, “se nel passato un evento di questo tipo portava solo a vedere le aurore boreali anche alle nostre latitudini, oggi provocherebbe danni ingentissimi ai sistemi di telecomunicazione e ai satelliti, e sarebbe un serio rischio per molte delle tecnologie cui siamo quotidianamente abituati”. Alessandro Sticozzi
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