"Se non si fosse chiamato Emilio Fede, ma che so - Ernesto Rossi o Franco Coppola - la sua storia non sarebbe venuta nemmeno a galla. È un caso di malagiustizia, non c’è che dire, che presenta maglie fin troppo larghe per i pezzi da 90 della camorra e maglie strettissime per poveri “disgraziati” - scusami, il termine, Emilio - che si vuole fare passare per fetenti (il termine sarebbe più pesante).
Qui si registra un corto circuito tra la morte di una donna, la moglie gentildonna, e la vita sofferente di un uomo che ha conosciuto gli onori di una prestigiosa carriera e che ora sta pagando il prezzo di errori. A far saltare la corrente, ahimè, è stata quella magistratura disumana, “senz’anima”, burocratica, che non può non avere “vergogna” di se stessa perché costretta a compiere certe operazioni. Sarebbe bastata la tragica motivazione del funerale della consorte a consentire all’anziana persona (sì, vogliamo parlare di una persona comune) di potersi spostare da Milano. Fede era in regola per il permesso essendo ai domiciliari, eppure ha dovuto subire, di notte, l’onta e il fastidio, quasi uno sberleffo, per verificare se le sue “carte” fossero a posto. Una reazione moderata la sua, con un unico, termine fuori posto: parla di “energumeni” nei riguardi di chi l’ha sottoposto a un simile controllo. Di certo non ce l’aveva con le forze dell’ordine, anch’esse vittime del “sistema”, che le sbatte ogni notte “sopra” i Quartieri Spagnoli per la conta di boss e affiliati ai domiciliari
Certo, che colpo avrebbe fatto la (mala) giustizia se non avesse trovare Fede, che deambula su una sedia a rotelle!
Invece così si è trattato solo di una disumana manifestazione di potere (legittimo). Mala tempora currunt. E quanti altri anni dovranno passare perché in italia si faccia finalmente una riforma della giustizia che la renda equa, rapida, imparziale?”
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