Roberto Lai, neo presidente dell’Associazione Nazionale Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, noto all’opinione pubblica per la fiction Art Riders, in onda su Sky, in un’intervista a Spraynews, spiega come le indagini del personale specializzato, supportato dai volontari, si prestano a diventare non solo film, ma anche serie di successo considerando che si tratta di ricerche rocambolesche con agenti sotto copertura. L’appello allo Stato è quindi di non sottovalutare un nuovo modello di fare cultura.
Art Riders è stato un vero successo. L’arte torna a essere di moda?
«L’arte è sempre di moda, ma in questo momento storico sta svolgendo una funzione ancora più importante perché l’opinione pubblica, ma soprattutto i media, stanno dando risalto alla grande bellezza del Paese. Stiamo esportando un concetto. In poche parole viviamo un momento particolare dove i beni culturali, soprattutto quelli che sono stati violati, depredati, tornano alla ribalta dopo tanti anni per quel principio di ricontestualizzazione, di identità e di ricollocazione».
Ci sarà una seconda stagione? Può anticipare qualche novità?
«Probabilmente sì! Non è una certezza solo perché non c’è ancora l’ufficialità. Non posso, però, anticipare nulla».
Ha mai pensato a un film da portare sul grande schermo?
«Molti casi del Comando Tutela Patrimonio Culturale sono indagini rocambolesche con colleghi sotto copertura che si prestano sicuramente non solo a diventare film di successo, ma vere e proprie serie televisive».
Negli scorsi giorni è stato nominato alla guida dell’Associazione Nazionale Tutela del Patrimonio dell’Arma dei Carabinieri. Quanto è importante un riconoscimento, che tiene conto di anni di lavoro e perché no anche di successi sul campo?
«Questa presidenza è fondamentale perché all’interno di un’associazione che conta oltre 200mila iscritti finalmente si ha un nucleo specializzato con il quale posso continuare a portare avanti quei valori di tutela, ma soprattutto formare personale all’interno della protezione civile per i beni culturali d’emergenza, ovvero dare la possibilità ai volontari di intervenire un domani in supporto del Mibact e del Comando Tutela Patrimonio Culturale per aiutarli nel recupero dei beni, soprattutto in casi di calamità naturali e quant’altro, non certamente operativo perché una volta che non sei più in servizio attivo è impossibile farlo».
In Italia sono ancora molti i reperti che non sono tornati alle proprie comunità di origine. Come mai il fenomeno è ancora così diffuso?
«E’ un problema di gestione delle varie Soprintendenze. Se viene recuperato un bene, secondo la legislazione italiana, deve tornare nel luogo di origine. Questo generalmente avviene. Ci sono solo casi in cui non esistono musei civici e quindi pure se il ritrovamento proviene da quella realtà diventa difficile contestualizzarlo».
Per quanto riguarda gli scavi clandestini, ritiene siano ancora un cancro da combattere?
«E’ una vera e propria piaga. L’allerta deve restare alta perché purtroppo i tombaroli con la loro opera non solo rubano il reperto, ma cancellano ogni traccia. E’ come un libro che viene distrutto. Non diventa, quindi, facile la lettura del ritrovamento scavato in modo clandestino. Il fenomeno è diminuito rispetto al passato, ma è ancora attivo nonostante i controlli svolti sul territorio. Stiamo parlando di un problema più che attuale».
Quale è stata la sua ricerca più importante?
«L’indagine è quella che è andata anche su Sky Arte, ovvero quella della Triade Capitolina, costituita da Giove, Giunone e Minerva. E’ stata per me un battesimo, accaduto tra l’altro in un momento particolare, tenendo conto che solo allora nel Comando Tutela Patrimonio Culturale prima Patrimonio Artistico si erano create le tre sezioni specifiche, ovvero quelle dedicate ad archeologia, antiquariato e arte contemporanea. Specializzarsi solo in archeologia, infatti, ci ha permesso di portare a termine il lavoro, utilizzando tecnologie moderne in un settore delicato come quello dell’arte ed è stato un epilogo appunto felice considerando che si è riportato a casa un bene trafugato dai clandestini a Guidonia Montecelio attraverso un’azione che è durata quasi due anni».
Allo stato sta dando un contributo al Vaticano e alla capitale. La Roma sommersa da scoprire è ancora vasta. Cosa possono fare le istituzioni per farla venire alla luce?
«Serve investire di più in cultura. I fondi sono pochi. Lo Stato deve prendere atto che il nostro petrolio sono i beni culturali. Se non ci sono le risorse, con tutta la buona volontà e i sacrifici delle Soprintendenze periferiche, è poco ciò che si può fare. Occorrono fondi per vigilare sul territorio, valorizzare la bellezza e poter continuare a esportare la storia. Lo Stato deve capirlo».
Come fare tutto ciò?
«E’ necessario mettere in agenda un piano strategico per la cultura. Bisogna dare priorità allo sviluppo e al rafforzamento di tutto il settore pubblico e privato, ridistribuendo competenza, fiducia, autorità e mezzi agli addetti del settore, creando, progettando, non cancellando. Occorre una strategia che a fine pandemia possa far tornare il turismo di massa, nonché tenga salde le sorti dei segni della nostra identità. Proteggere il Paese non significa solo vigilare sul territorio e combattere la criminalità, sia organizzata che internazionale, ma anche difendere un patrimonio culturale di una nazione come l’Italia che vanta la più grande ricchezza artistica del mondo».
Il messaggio non sempre viene colto dalle nuove generazioni. Come facilitare la sua diffusione?
«Da diversi anni mi dedico alla divulgazione, soprattutto al concetto di tutela, attraverso conferenze e attività dirette ai giovani con la pubblicazione di fumetti. Riannodare i fili della memoria attraverso una didattica moderna e l’insegnare la storia, attraverso diverse chiavi di lettura, è la strada da intraprendere. Preservare e curare l’identità deve essere missione sacra per ognuno di noi».
Di Edoardo Sirignano
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