Quarta, la sua è la storia di una straordinaria ingiustizia e di una vita spezzata in due. Per sempre…
Il mio è stato un calvario infinito. Ero il Segretario generale della Giunta della Regione Abruzzo. Il 14 luglio 2008 mi arrestano insieme al Presidente della Regione Ottaviano Del Turco e ad altri componenti della Giunta e del Consiglio regionale. La chiamano “la Sanitopoli abruzzese”. I capi di imputazione erano trenta, un numero spropositato, da plotone di esecuzione, più che da tribunale di giustizia. Per essere assolto con formula ampia da tutte le accuse ho dovuto aspettare nove interminabili anni. Tutte le accuse sono state smontate. A carico di Del Turco è rimasta appesa una sola condanna, per qualcosa che avrebbero provato solo indirettamente. Come a dire, sì, non ci sono le prove, ma qualcosa deve pure aver fatto. Quanto a me, prima che uscissi indenne dalle trappole e dalle sofferenze della Sanitopoli d’Abruzzo, hanno pensato bene di catapultarmi in un'altra inchiesta e in un altro inferno. Il nome prescelto questa volta è Caligola, l’imperatore romano, che morì assassinato. E’ il 7 gennaio 2012 quando mi arrestano per una seconda volta. Il capo di imputazione questa volta è uno solo. Fumoso, arzigogolato, supponente. Inesistente.
Caligola fu assassinato quattro anni dopo l’inizio del suo impero. Lei quanto ho dovuto aspettare?
Nove anni esatti. Dal 7 gennaio 2012 al 16 gennaio 2021. Il fascicolo, che mi accusa per una seconda volta, parte da Pescara, dallo stesso pool della Sanitopoli abruzzese. Sono loro che fanno le indagini, salvo poi trasferire tutto e tutti ai colleghi dell’Aquila per manifesta incompetenza territoriale. All’Aquila le indagini vengono riaperte e riaggiornate, all’infinito. Ora finalmente è finita.
A lei e alla sua famiglia che cosa rimane di tutta questa incredibile vicenda?
Nove nni sono tanti. Nel frattempo, ho perso il mio lavoro, ho assistito impotente a traumi familiari indescrivibili, ho abbandonato ovviamente ogni impegno politico. La mia vita è stata irrimediabilmente stravolta. Ho capito sulla mia pelle che qualsiasi cittadino, politico o non politico, di fronte alla violenza di atti giudiziari, che poi magari si rivelano inconsistenti, è in uno stato di ordinaria inferiorità. Non ha né i mezzi né la possibilità di difendersi.
Ha letto il libro intervista di Alessandro Sallusti, in cui l’ex Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara scoperchia il vaso marcio della giustizia italiana?
Ho letto nel libro cose di cui ero già convinto. Ricorso, però, che il mio primo commento a caldo è stato: “E’ persino peggio di quello che avevamo immaginato”. Quello che Palamara chiama “Il Sistema” niente altro è che il controllo totale dei vertici nazionali della magistratura non solo su qualsiasi nomina e su qualsiasi incarico. E’ ovvio che, come avviene anche in politica, la persona che tu nomini o contribuisci a far nominare, magari in una posizione importante, come può essere quella di capo di una Procura, abbia, qualora fosse necessario, un dovere di riconoscenza. A un Sistema, come questo, non voglio dare giudizi. Rischierei di utilizzare parole troppo pesanti. Quello che avevo vissuto da protagonista nella mia vicenda giudiziaria me lo sono ritrovato scritto lì. Quel libro non parla solo delle nomine che i vertici della magistratura decidevano a loro piacimento, spesso in accordo con pezzi della politica, non solo per le Procure più importanti, ma in tutta Italia, ma anche di molto altro.
Quale sarebbe questo altro? Il condizionamento sulla promozione e, addirittura, sull’esito di alcuni processi?
A questo stavo arrivando. Palamara racconta con dovizia di particolari e qualche volta solo allude. Non le sarà sfuggito che nel libro si accenni anche alla vicenda giudiziaria che mi ha personalmente coinvolto, insieme con l’ex Presidente della Regione Abruzzo Ottaviano Del Turco. Lui dice che ci fu molta sorpresa perché l’inchiesta sembrava priva di riscontri. Al di là dell’incubo tutto mio, che mi sembrava non dovesse finire mai, dal libro emerge che quel Sistema orchestrato di nomine produceva, come effetti collaterali, ulteriori distorsioni. Abbiamo letto e capito che, se si vuole, si possono condizionare i processi e soprattutto l’attività investigativa spesso esercitata a senso unico. Pensiamo a quello che sta accadendo alla Procura di Milano per il processo Enimont. Quale è l’accusa che viene mossa proprio in questi giorni al procuratore aggiunto Fabio De Pasquale? Proprio quella di non aver cercato e prodotto materiale probatorio a discarico degli accusati, disobbedendo, secondo l’accusa, a un obbligo imposto dalle norme in vigore. Che cosa è questo se non un condizionamento dell’attività di giustizia?
Come sicuramente sa, Palamara ha deciso di portare la sua denuncia sui mali e le malefatte della giustizia italiana, che ha vissuto e di cui è stato protagonista dall’interno, candidandosi alle elezioni suppletive nel collegio romano di Primavalle. Lei condivide questa sua scelta? Palamara deputato può essere il viatico giusto per una riforma della giustizia che spazzi via le ombre e le ingiustizie del passato, che lei ha vissuto in prima persona e subito sulla sua pelle?
Come abbiamo visto, la riforma della giustizia è un argomento ostico da affrontare e digerire. Il clima è quello di un’assoluta impermeabilità al cambiamento. Basta vedere quante critiche ha ricevuto il ministro Marta Cartabia. Per aver fatto non una riforma compiuta, ma solo qualcosa, è stata attaccata e insultata, anche da magistrati in carica, che dovrebbero applicare le leggi e non pensare di scriverle.
Detto questo…
Detto questo, il buon senso suggerisce che più personalità entrano nel Parlamento, con l’obiettivo di contribuire a un cambiamento del nostro sistema giudiziario, meglio è. Io mi auguro che Palamara sia eletto, in modo che, sicuramente con altri, possa aprire sui temi della giustizia un confronto e, soprattutto uno scontro, perché di quello ci sarà bisogno. Non sarà facile. Non c’è da illudersi. Ammesso che Palamara, come mi auguro, riesca a entrare in Parlamento, avrà bisogno di un’armatura possente perché, come vede, le forze politiche, sia di destra, sia di sinistra, alla fine si accontentano dello status quo. Ci sono in ballo anche i referendum, ma non sappiamo a cosa porteranno. Nel frattempo auspico che Palamara possa sedere su uno scranno di Montecitorio. In quella sede istituzionale può essere ancora più utile.
Se lei abitasse a Roma dalle parti di Primavalle, lo voterebbe?
Sì. Io voterei Luca Palamara.
di Antonello Sette
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