Laura Sicignano, Direttrice del Teatro Stabile di Catania: “Fare l’attore diventerà un mestiere per ricchi. Ne conosco molti, che con i risarcimenti non riescono a vivere e hanno deciso di cambiare lavoro”
Laura Sicignano, il teatro sopravvivrà al Covid?
Il teatro come genere è sopravvissuto alla peste, alla miseria, alle guerre, ai bombardamenti, alle religioni che lo volevano mettere al bando. Sopravvivrà anche al Covid. Alcuni teatri, però, chiuderanno i battenti e non riusciranno a riaprire. E molti attori non ce la faranno e la cosa più triste è che a soccombere non saranno quelli meno bravi, ma quelli con le spalle economicamente meno larghe. Il teatro che tornerà sacrificherà, in larga misura, il talento a favore del censo.
I teatri sono chiusi, i cartelloni, già programmati, mutilati e sospesi. Dove trova i coraggio per non farsi sopraffare dallo scoramento?
Nel lavoro, nella passione, nella responsabilità che ho nei confronti di tutte le persone, che lavorano per Il Teatro Stabile di Catania. Io ho il dovere di non perdermi d’animo e di trasmettere entusiasmo, non rassegnazione, Per me è una nuova sfida, più difficile, forse, di tutte le altre, ma, ma anche questa voglio vincerla. O quantomeno combattere.
Il teatro è contatto con il pubblico. Per un attore il teatro è la casa, il rapporto con il pubblico la vita. Senza il teatro, ho letto da qualche parte, all’attore gli tagli l’anima. Il Covid sta producendo non solo disastri economici e culturali, ma anche depressione, disadattamento, rabbia. E’ così?
Per i teatranti il rapporto con il pubblico è imprescindibile. Avevamo in programmazione uno spettacolo. E’ arrivato il giorno tanto atteso della prima. Pronti, via, il sipario si alza, ci sono gli attori, gli arredi, la scenografia. Manca solo il pubblico. Di fronte hai solo tre telecamere. E sai che non ci saranno applausi. Surreale, frustrante, doloroso, terribile, ma sai che non puoi fermarti. E devi comunque dare il meglio di te. Il teatro non è fatto per noi teatranti, ma per il pubblico. Noi ci esprimiamo, ma senza il pubblico non siamo niente. Senza teatro, a una società si toglie una dimensione. Il teatro è dialogo, confronto, un rito, che si ripete da millenni ed è alla base della nostra cultura mediterranea. Se allo spettatore togli il teatro, gli togli un pilastro del suo benessere mentale.
Vi hanno inserito fra le attività non essenziali, quelle che si possono chiudere senza troppi rimpianti?
A me non sembra proprio che non siamo essenziali. E in tanti, attori tecnici, si sono arrabbiati per questa definizione quasi offensiva del loro lavoro. E, poi, se chiudi un teatro, vanno sì in crisi economica e psicologica i suoi operatori, ma anche chi assiste dalla platea, che smarrisce una parte di sé, della sua identità, della sua anima.
In che cosa il Governo ha sbagliato?
La situazione è oggettivamente grave e non mi permetto di criticare. Una cosa, però, la voglio dire. Risorse importanti sono state sottratte negli anni passati alla sanità pubblica e ora tutti ne paghiamo pesantemente le conseguenze. I teatri sono chiusi, e alcuni resteranno chiusi per sempre, solo perché la sanità pubblica è stata smantellata e non può, quindi, far fronte all’emergenza. E c’è una triste analogia fra sanità pubblica e teatro. Anche noi siamo dispensatori di benessere, della salute non del corpo, ma della mente e dell’anima, e anche noi siamo stati relegati in fondo nella classifica dei Pil europei. Mi pare, se non ricordo male, che allo spettacolo dal vivo sia destinato lo 0,027 del prodotto interno lordo. Una miseria risibile, se paragonata alle percentuali degli altri Paesi. Per non parlare della mancanza di una legge di tutela. Eppure i teatri di ogni e grado, prima della pandemia, erano pieni. Il teatro, per certi versi, non soffre, come il cinema, la concorrenza della televisione perché è una ritualità che ci appartiene, fa parte del nostro dna.
Prima o poi si dirà: la nottata è finita. Che lo spettacolo ricominci. Non è così semplice, credo. Molti si chiuderanno, a virus vinto, da soli?
Ci sono finanziamenti offerti alle aziende teatro, ma gli attori e i tecnici, con i risarcimenti, con i ristori, come sono chiamati, non ci campano. E so di tanti che si sono già arresi e hanno deciso di cambiare mestiere e di cercarsi un altro lavoro. Una selezione, dettata dal bisogno, non dal talento. Quello dell’attore, in primis, rischia di diventare sempre di più, purtroppo, un mestiere per ricchi.
di Antonello Sette
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