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Le mosse di Zingaretti, Renzi e Calenda in vista di elezioni anticipate: la sinistra si prepara



Con le elezioni anticipate, ormai, di fatto alle porte, come Annibale nei sogni peggiori, cioè negli incubi, dei romani (Hannibal ad portas dicevano le matrone ai loro bambini per mettergli paura), tutti i partiti si acconciano alla realtà. A partire, ovviamente, dal Pd e dal centrosinistra. Solo che, essendo il Pd un partito dove vale un’altra, antica, massima di età romana, tot capita, tot sententiae, le direttrici di lavoro e le proposte politiche sono, come sempre, diverse e diversificate. In sostanza, sono tre: quella di Zingaretti e della nuova tolda di comando del partito; quella di Renzi e dei suoi; quella di Carlo Calenda e i suoi ‘Siamo europei’. Direttrici che vanno esaminate una per una e non incrociate perché, altrimenti, con il Pd, non ci si capisce più nulla… Eccole, dunque, tutte e tre, le direttrici.


Zingaretti ha deciso: primarie di coalizione e Sala candidato premier del centrosinistra


Il sindaco di Milano, Beppe Sala, candidato premier del centrosinistra se ci saranno, presto, elezioni politiche anticipate? Lui, il sindaco, accarezza questo sogno e lo ha detto anche pubblicamente di sentirsi “una risorsa”. Ma la novità di questi giorni è che il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, sta pensando, per la verità anche da prima delle elezioni europee, proprio a Sala come front runner di quel ‘campo largo’ del centrosinistra che vuole costruire. Specie se, appunto, la situazione politica dovesse precipitare e si andasse a urne anticipate a fine settembre. Nella testa di Zingaretti c’è uno schema preciso fatto di tre tappe. La prima, dopo il successo della “lista unitaria” (Pd+Calenda+Mdp) alle Europee, è appunto la costruzione del ‘campo largo’. Oltre ai ‘nanetti’ attuali in circolazione, (+Europa, 3,04 e 822.764 voti, Verdi, 2,29% e 609.688 voti, forse persino la Sinistra, 1,74% e 465.092 voti: tutti insieme valgono il 6%, cioè 1.897.534 voti alle Europee), al Pd serve di far nascere un buona gamba centrista. Ed è qui che entra in gioco, come vedremo dopo, Carlo Calenda, fresco del boom personale di preferenze prese, che già annuncia di voler costruire, a partire dalla sua lista, ‘Siamo Europei’, un vero partito di stampo lib-dem (anche se un giorno lo dice e il giorno dopo ci ripensa…). Idea e proposito che Zingaretti incoraggia, anche perché è un modo come un altro per togliere acqua a ogni velleità di Renzi e dei renziani di dar vita, loro stessi, a un ‘partitino’. Il secondo step sono,per ‘Zinga’ le primarie di coalizione. Zingaretti non le ha ancora annunciate formalmente ma, se e quando si voterà, le indirà senza indugio alcuno. Il Prof, Romano Prodi, che ‘Zinga’ ascolta sempre, gliele chiede e Zingaretti ci crede. Il nuovo segretario dem ritiene che la leadership del Pd debba essere ‘contendibile’ e che lui è solo un ‘protagonista’, ma non ‘il protagonista’, alla Renzi. Quindi, proprio come fece Bersani, indirà le primarie di coalizione, ma – a differenza di Bersani – non si candiderà lui, in prima persona, ma farà ‘correre’ altri nomi. Vuole, appunto, un nome ‘nuovo’ e ‘diverso’ come front runner del suo ‘campo largo’. All’inizio, Zingaretti aveva pensato a Paolo Gentiloni, ex premier e suo alleato, oggi presidente dem, ma è un nome, il suo, troppo legato, agli occhi degli elettori, alla passata stagione e ai passati governi, compresi. – appunto – quelli guidati da Renzi. Gentiloni, invece, sarebbe “perfetto”, dicono nel Pd, come candidato sindaco di Roma, per il centrosinistra, città dove pure si potrebbe tornare a votare presto, di certo non quando scadrà il mandato del sindaco Raggi (2020). Calenda, invece, è troppo ‘di centro’ e troppo ‘liberal’, anche se molto ‘pop’, per rappresentare tutta la sinistra.

E’ Sala, dunque, il candidato ‘perfetto’ per il suo Pd. Di sinistra, come Pisapia, a sua volta ex sindaco della capitale meneghina, ma non troppo ‘di sinistra’. Conosciuto e ben voluto, specie al Nord, dove il Pd deve consolidare voti e posizioni, anche se con un deficit di popolarità al Sud, deficit che andrebbe, e rapidamente, recuperato. Brillante ma anche posato, Sala è, per Zinga è l’ecce homo del Pd. Anche perché non gli farebbe troppa ‘ombra’ e non si farebbe mai un partito ‘suo’, come forse si farà Calenda. Lui, Sala, ovviamente, non vede l’ora di lanciarsi in campo, anche se il momento è adesso. Infatti, se non si votasse ora, cioè in autunno, ma tra un anno o due, Sala sarebbe alle prese con la scadenza del suo mandato da sindaco e, forse, potrebbe diventare un problema, allora, ‘mollare’ Milano.


Calenda oscilla tra un partito ‘suo’ e il restare nel Pd…


Uscire o non uscire dal Pd è l’atroce dilemma che il – fresco di nomina – europarlamentare dem, primo per numero di preferenze in tutt’Italia, Carlo Calenda. Lui, per ora, lancia segnali, poi ritratta, prima butta la palla in avanti, sperando che qualcuno la raccolga, dopo ci ripensa. La tentazione di mettersi alla testa di quel ‘nuovo’ partito liberaldemocratico di cui ha parlato, appena due giorni fa, in un’intervista a Repubblica (“Sono pronto a fondare un soggetto liberal-democratico di centro, alleato del Pd, ma mi muoverò solo se la decisione sarà condivisa”, dice, anche se non si capisce con chi, al netto di Zingaretti, che non ha preso bene l’dea, la debba e possa ‘condividere’) c’è ed è forte, ma non vuole apparire come lo ‘sfascista’ che rompe il Pd in cui è stato appena eletto a Strasburgo per quella “ambizione individuale” che gli rimproverano. L’esigenza di rafforzare l’area centrista e ‘liberale’, e di dare così una mano ‘anche’ al Pd, appare genuina, sincera. D’altra parte, chi lo conosce sa bene che nella sua personalità prorompente e sfacciata c’è anche la lealtà.

Del resto, ne ha fatto le spese del suo ‘cattivo’ carattere. Tanto per citare un paio di episodi, basti ricordare il tweet in cui invitava a cena Renzi, Gentiloni e Minniti a casa sua, nel disperato tentativo di rianimare le sorti del Pd. Tutti i commensali rinunciarono al desco, e lui si adontò. Poi ci sono le asticelle altissime poste in vista delle elezioni europee, quando ‘previse’ un Pd al 30% e ben 400mila preferenze per lui: è finita col 22,7% e 275 mila consensi. Altre volte le sue intemerate hanno avuto più successo, come quando si è presentato nella piazza di Salvini a Milano: è stato accolto come un piacevole “disturbatore” tra strette di mano, selfie e zero contestazioni. Aneddoti, ma che restituiscono l’immagine di “uomo del fare”. Ma se è ingeneroso attribuire a Carlo Calenda le caratteristiche del politico (è impulsivo, impaziente, individualista, etc.), è anche vero che ‘costruire’ un partito ex novo è altra cosa.

Questo non vuol dire che le riunioni con vari collaboratori non ci siano, ma lui non ha mai voluto strutturarsi. Su Twitter, per dire, Calenda risponde ‘di persona’ a ognuno degli utenti che gli scrive. Non ha uno staff comunicazione. Con Nicola Zingaretti e, soprattutto, Paolo Gentiloni ha sviluppato un ottimo rapporto e un dialogo fitto e proficuo ed è uno dei motivi che lo trattengono dentro il Pd.

A spingerlo fuori dal Pd, invece, sembrano essere, specie negli ultimi tempi, i renziani rimasti nel partito. Mentre Renzi resta in standby, come vedremo subito dopo, qualcuno tra i suoi inizia a pensare che Calenda potrebbe fare da apripista alla scissione, iniziando ad aggregare quel centro moderato cui pure loro guardano con interesse. La recente iniziativa milanese di campagna elettorale è servita a riavvicinare l’ex premier e il suo ex ministro, i cui rapporti erano freddi dai tempi del governo (Calenda ricorda spesso, come un vezzo, le ‘liti’ tra lui e Renzi). A unirli c’è anche la comune ostilità nei confronti del M5S, che potrebbe segnare, prima o poi, una faglia di rottura con il vertice del Pd che, invece, guarda a possibili ‘alleanze’. Ma la possibilità che due personalità così forti possano condividere la leadership dello stesso partito è pari a zero.

Inoltre, lo sviluppo e il radicamento dei comitati di Siamo Europei si è bloccato con la campagna elettorale. Molti ne sono nati nel Nord-Est, specie in Veneto, ma a chi chiamava dal resto d’Italia per chiedere come fondarne uno, si consigliava ‘per ora’ di sostenere i candidati ‘di area’. Il risultato è stato altalenante: insieme al boom di Calenda e Irene Tinagli (106 mila preferenze nel Nord-Est), ci sono le ombre dei più sconosciuti Massimiliano Santini (ultimo nel Nord-Est con 4.645 voti), Alessia Centioni (undicesima al Centro, 16mila), Virginia Puzzolo e Mila Spicola nelle Isole (la prima quinta con 13.500 preferenze e la seconda ultima con 7mila). Segno che i consensi arrivati alle due punte di diamante di ‘Siamo Europei’ erano ‘personali’. Tra chi anima i comitati di Calenda già esistenti, non sono pochi quelli iscritti o comunque vicini al Pd: difficilmente seguirebbero Calenda in un’avventura centrista e solitaria.

Infine, il leader di Siamo Europei vuole capire bene anche cosa si muoverà intorno allo spolpamento di Forza Italia. +Europa, infatti, non può essere certo l’unico partner, con il suo 3% bacino minimo per la sopravvivenza. Invece, se il tracollo berlusconiano segnerà la fine definitiva di FI, una parte di essa – magari sotto la guida di Mara Carfagna e con il sostegno di Gianfranco Miccichè in Sicilia – potrebbe essere interessata alla nuova ‘creatura’ centrista. Si allargherebbe così non solo la platea politica, ma anche quella geografica, visto che il Sud rimane territorio quasi estraneo per Siamo Europei e per il centrosinistra tutto. Potrebbe essere, questa, la vera chance per una operazione ‘concordata’ con il Pd. Calenda ci spera, il tempo lo dirà.


Renzi prepara ‘il botto’, specie se non si voterà presto…


Per Matteo Renzi, l’analisi del voto è già bella che fatta: la “strategia dei pop-corn” (stare alla finestra per godersi lo spettacolo di Di Maio e Salvini che ‘si scannano’) ha pagato, ma quella del Pd “non è stata una vittoria, anzi: solo un bion pareggio. Siamo arrivati secondi esattamente come nel 2018, si sono invertiti il primo e il terzo, Salvini e Di Maio, ma il punto è che il Pd era secondo ed è rimasto secondo. Il Pd ha perso in valori assoluti circa 120mila voti e guadagnato in percentuale quasi il 4%. Hanno votato Pd i D’Alema, i Bersani, ma anche chi come Prodi aveva votato per la lista Insieme, o chi per la lista Civica e popolare della Lorenzin. Tutte queste persone sono tornate a votare Pd che purtroppo non è cresciuto in termini di voti ma è importante ci sia stata una campagna senza polemiche, senza divisioni, abbiamo lavorato bene e con molta lealtà. Se avessimo avuto la stessa lealtà anche in passato avremmo avuto risultati migliori. Comunque, è un inizio”. “Il pareggio alle elezioni”, così come lo definisce Renzi, dipende anche dal fatto che “la Lega ha vinto le europee, il Pd ha vinto le amministrative, Di Maio ha perso tutto”.


Davanti a chi, tra i suoi, gli ha chiesto ‘cosa fare’, rispetto al progetto di Calenda, Renzi per ora si limita a far filtrare il suo ‘wait and see’, aspettiamo e vediamo. “Per ora dobbiamo stare fermi, ma è chiaro che, nel futuro, sarà necessario costruire un nuovo progetto”. Ma i pensieri veri e profondi di Renzi suscitano nomi e gelosie, nel Pd che, oggi, sta con Zingaretti: “Noi non dobbiamo fedeltà alla Ditta – ha scandito l’ex premier – ma al Paese”. Frasi dure, tranchant. Detto dell’analisi del voto e detto che Renzi ha ‘ringraziato’, pubblicamente, solo “gli splendidi sindaci” e le ‘loro’ vittorie (Nardella a Firenze, Gori a Bergamo, Decaro a Bari, guarda caso tutti renziani o ex renziani, anche se Nardella oggi dice “i renziani non esistono più”), sono le ‘mosse’, presenti e future, dei renziani che dicono molto, se non tutto. Il 12 luglio, a Milano, si terrà la prima e grande assemblea nazionale nazionale dei comitati civici ‘Azione civile – Ritorno al futuro’, alla sua presenza. Comitati che sono, di fatto, già la ‘base’ del partito nuovo. Il 18-20 ottobre, a Firenze, ennesima (sarà la decima…) edizione della Leopolda, rispetto alla quale Renzi già annuncia che “sarà un’edizione straordinaria per tantissimi motivi”, parole che sembrano annunciare, appunto, rullar di tamburi. Nel mezzo, assemblea nazionale delle due mozioni che, all’area di Renzi e dei renziani fanno riferimento. Prima, il 15 e 16 giugno, l’assemblea della mozione di Giachetti, Ascani e Nobili, i pasdaran e le vestali del renzismo militante, che si ritroveranno ad Assisi. Il 5-7 luglio, a Montecatini Terme, la prima assemblea nazionale di ‘Base riformista’, la nuova corrente – nata da una scissione dell’area Martina – capitanata da Luca Lotti e Lorenzo Guerini, ex renziani ortodossi, ma ora renziani ‘tiepidi’, non ostili in via pregiudiziale – come invece è l’area Giachetti – al nuovo corso di Zingaretti, ma molto diffidenti e tiepidi. Renzi, invitato ad entrambe, non è detto che ci vada, ma una cosa è certa: a seconda di quando e se si terranno le elezioni politiche anticipate (Renzi spera il più tardi possibile, cioè non prima del 2020, per prepararsi meglio alla pugna ha bisogna ancora di ‘tempo’), l’ex leader dem ha già in serbo una serie di duplici mosse. Tutte, come nel suo stile, eclatanti. Insomma, fatte ‘col botto’.


di Ettore Maria Colombo

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