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Le tangenti del Mose finivano in appartamenti di lusso a Dubai: la GdF sequestra 12,3 milioni



Un sequestro per 12,3 milioni di euro per riciclaggio internazionale ed esercizio abusivo dell'attività finanziaria: proseguono le indagini della Guardia di Finanza sulle attività illecite attorno al MOSE, l'opera di geoingegneria ancora in fase di ultimazione, i cui lavori furono avviati nel 2003. Gli ultimi accertamenti dell'inchiesta sulle tangenti, scoppiata nel 2014 e che portò all'arresto di 35 persone tra politici, manager e imprenditori (tra cui Piergiorgio Baita, uno degli amministratori della ditta appaltatrice Mantovani, dell'allora governatore del Veneto Giancarlo Galan e dell'allora sindaco di Venezia Giorgio Orsoni) hanno portato gli inquirenti ad accertare che, tra il 2008 e il 2015, due commercialisti padovani avrebbero contribuito in maniera determinante al giro di rinvestimenti dei proventi delle tangenti riconducibili all'allora governatore della regione Veneto. In particolare, tramite il loro studio professionale, i due avevano intestato quote fiduciarie di una società veneziana che dalle indagini precedenti era risultato essere di fatto riconducibile a Giancarlo Galan. I due, inoltre, avevano reso disponibili in Svizzera dei conti correnti, tutti intestati a società estere off-shore di Panama e delle Bahamas, anche questi gestiti da fiduciari e le cui somme erano state poi trasferite ad un altro conto corrente a Zagabria, quest'ultimo intestato alla moglie di un terzo professionista dello studio commercialista di Padova.


Un giro di soldi in nero che non si limitava ai diretti interessati della vicenda MOSE: gli inquirenti della Guardia di Finanza, scavando, grazie ai risultati di una rogatoria in Svizzera, hanno potuto accertare che il sistema messo in piedi (che sfrutta società off-shore) era già largamente utilizzato da professionisti esteri, incaricati da imprenditori veneti di riciclare denaro frutto di evasione fiscale. Ad aprire il vaso di Pandora una perquisizione presso gli uffici di una società svizzera fiduciaria, dove è stata rinvenuta una lista di aziende italiane che avrebbero affidato il loro patrimonio evaso a professionisti svizzeri che, pur in assenza di mandato dell'attività finanziaria in Italia, raccoglievano i capitali in fondi esteri (di Panama, Curacao, Romania, Olanda e Svizzera). Dopo la permanenza in questi fondi, che avrebbero dovuto garantirne la non tracciabilità, le somme rientravano in possesso degli imprenditori, che le hanno spese per appartamenti di lusso a Dubai e stabili commerciali in Veneto.


Già durante lo scorso febbraio, i "grandi accusatori"della vicenda MOSE, tra cui primeggiava l'ex ad di Mantovani Piergiorgio Baita, nel corso di diverse deposizioni ai titolari dell'indagine condotta dai Pm Buccini e Ancillotto , avevano ottenuto la possibilità di patteggiare dopo aver rivelato l'intricato sistema di corruzione e tangenti attorno all'opera e del loro riciclaggio, informazioni che avevano portato alla maxi operazione della Guardia di Finanza e agli arresti del 2014.

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