1. Il quadro generale. Regionali, un test importante.
Nei prossimi mesi del 2019 si voterà in diverse regioni italiane (quattro: Abruzzo, Sardegna, Basilicata, Piemonte), oltre che per le elezioni europee, il prossimo 26 maggio, e un’importante tornata di elezioni amministrative, a giugno. Inoltre, non va dimenticato che, nelle elezioni regionali del 2018, unici tre veri test politici dopo le Politiche del 4 marzo, elezioni che si sono tenute in Molise, Friuli-Venezia Giulia, e Trentino Alto-Adige, i 5Stelle non hanno conquistato nessuna regione, il Pd le ha perse tutte e tre, il centrodestra (in Trentino e in Alto-Adige alleato con l’Svp, che per la prima volta ha effettuato una vera svolta a destra) le ha vinte tutte e tre. Ma cosa succedere alle prossime? Si parte, anche in questo caso, da un dato di fatto: governatori e amministrazioni uscenti sono tutte di centrosinistra e, tendenzialmente, il centrodestra appare invece il favorito, in tutte le regioni al voto, mentre i 5Stelle per ora rincorrono. Certo è che, insieme alle Europee e oltre l’indubbio valore delle diverse elezioni regionali per i cittadini di quelle regioni, anche le urne delle prossime elezioni Regionali potrebbero influenzare il futuro del governo e la ‘tenuta’ della maggioranza parlamentare gialloverde, oltre che definire, non con i sondaggi, i rapporti di forza interni come pure lo ‘stato di salute’ delle maggiori forze di opposizione. Infine, da non dimenticare che ogni regione italiana, per Statuto, può dotarsi – e si è dotata – di un proprio autonomo sistema di voto e di legge elettorale, pur all’interno della legge quadro (il famoso ‘Tatarellum’, varato nel 1995) che prevede l’elezione diretta del presidente della Regione (detto ‘governatore’) e l’elezione a turno secco e non a due turni che, invece, caratterizza le elezioni nei grandi comuni.
2. Solo 4 i candidati ai nastri di partenza. Nomi e liste.
Il nostro piccolo ‘viaggio’ nelle regioni italiane al voto parte dall’Abruzzo, la più prossima al voto (10 febbraio).
I candidati alla carica di governatore sono quattro, ma tre sono quelli principali e ognuno con chanches di vittoria: Giovanni Legnini, ex vicepresidente del Csm, di fede Pd, per il centrosinistra (sette le liste a sostegno: Pd, Mdp, Legnini presidente, +Abruzzo, Democratici e Popolari per l’Abruzzo, Avanti Abruzzo), Marco Marsilio, senatore di FdI, per il centrodestra (tre le liste a sostegno: Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Udc e una lista civica), Sara Marcozzi, consigliere regionale uscente pentastellata, per l’M5S (solo la lista M5S a sostegno). Poi c’è un candidato manifestatamente ‘minore’, Stefano Flajani per Casa Pound (una sola lista a sostegno), che è riuscito a presentare le firme necessarie, mentre non ce l’ha fatta, il giovane segretario del piccolo Prc, Maurizio Acerbo, consigliere regionale uscente sempre il Prc, ed ha rinunciato a presentare la propria candidatura, al fotofinish, Fabrizio Di Stefano, che pure aveva tre le liste a sostegno (Civiche per l’Abruzzo, Azione Politica e Avanti Abruzzo). Infatti, alle 12 di oggi scadeva il termine ultimo per la presentazione delle liste in Corte d’Appello, ma solo la prossima settimana si saprà quante sono le liste ammesse. In caso di una prima esclusione, da parte della Corte d’Appello, l’Ufficio centrale regionale è tenuto a far conoscere entro il 16 gennaio le liste ammesse e le eventuali prime esclusioni, mentre dal 20 gennaio si partirà con la stampa delle schede.
Ad oggi, le liste – 15 in totale a livello regionale ma che devono presentare, per legge, sette consiglieri ciascuno per ognuna delle cinque province abruzzesi (L’Aquila, Sulmona, Teramo, Chieti, Pescara) - sono, in totale, 64 mentre ben 440 sono i candidati presenti in tutte le liste.
3. I motivi del voto anticipato e i sondaggi più recenti.
Ma perché l’Abruzzo va al voto in via anticipata? Perché, alle Politiche del 4 marzo 2018, il presidente della Regione, Luciano D’Alfonso, è stato eletto senatore nelle fila del Pd. Dopo un discreto, ma lungo, tergiversare, D’Alfonso si è dimesso da presidente della regione il 9 agosto (la carica di parlamentare e di governatore sono incompatibili per legge) e quindi, dopo aver ricoperto, per circa tre mesi, il doppio – incompatibile – incarico, il vicepresidente della Regione, Giovanni Lolli (Pd), è diventato presidente vicario e si è proceduto a indire nuove elezioni che, nonostante le proteste delle opposizioni, sono state fissate al 10 febbraio.
Alle precedenti regionali, D’Alfonso era riuscito a riportare il centrosinistra alla guida della Regione, stracciando con il 46,26% dei voti il governatore uscente di centrodestra, Giovanni Chiodi, fermo al 29,26%, mentre il M5S ottenne il 21,41% sempre con Sara Marcozzi come candidata. Ma alle Politiche del 4 marzo 2018 la situazione si è del tutto rovesciata, con l’M5S che, in Abruzzo, ha preso il 39,85%. A seguire veniva poi il centrodestra, con il 35,53%, e dopo ancora, molto più staccato, il centrosinistra, con il 17,6%.
Sondaggi recenti non sono al momento disponibili, ma estrapolando il dato dell’Abruzzo dalla media degli ultimi sondaggi nazionali il quadro sarebbe già chiaro. La sfida sembrerebbe ristretta tra il centrodestra (favorito) e il M5S che insegue, ma non lontanissimo. Tagliato fuori dai giochi sembra il centrosinistra, anche se la candidatura di Legnini (molto forte e conosciuto in Regione) gli ha ridato smalto.
Infatti, sempre parametrando i dati nazionali all’Abruzzo, il centrodestra sarebbe davanti a tutti gli altri con il 41-42% dei consensi mentre l’M5S si attesterebbe tra il 34 e il 36% dei voti. In particolare, nel centrodestra, la Lega risulterebbe la prima forza con il 25-26% (un vero exploit), ben dietro Forza Italia, intorno al 12,5%, poi Fratelli d'Italia al 3,5%. Il centrosinistra nel suo complesso non andrebbe oltre il 20-21% con il Pd in caduta libera intorno all’11-12% (meno della metà della Lega). Altri candidati al 3%.
Dal 20 al 22 novembre 2018, l’istituto Quorum aveva realizzato per Il Messaggero un sondaggio sulle regionali: ne emergeva un sostanziale testa a testa tra centrodestra (al 34.5-40%) e M5S (32.5-38,5%), con il centrosinistra (20,0-26,0%) molto più staccato e gli altri candidati tra il 2 e il 4%. Un altro sondaggio, realizzato dall’istituto Tecné a settembre 2018, dava, invece, con il gran balzo in avanti della Lega (23,6%) il centrodestra, con FI al 13,4% e FdI al 4,6%, molto davanti all’M5S (38,8%) mentre il Pd sarebbe fermo al 12,4%, più il 2,4% di LeU, con gli altri al 4,6%.
Ma la novità politica degli ultimi mesi, non intercettata da questi sondaggi, sta appunto nella candidatura di Legnini, che ha restituito smalto e solidità al centrosinistra, rimettendone in gioco le possibilità di un’inedita vittoria.
4. Legnini scende in campo. Le grane del centrodestra.
Nel centrosinistra, dopo un lungo corteggiamento, è arrivata infatti la disponibilità a candidarsi da parte del vice presidente uscente del Csm Giovanni Legnini, aquilano doc: dietro di lui, una maxi-coalizione formata da otto liste e guidata, naturalmente, dal Pd, che ha restituito fiducia a una coalizione che, all’inizio, credeva di arrivare ultima e, quindi, di perdere una regione amministrata per tanti anni.
I 5 Stelle hanno individuato il loro candidato tramite il metodo delle consuete regionarie: con 1.032 voti è stata designata l’attuale consigliere regionale Sara Marcozzi, già aspirante governatrice nel 2014, pur se già sconfitta allora.
Inoltre, sarà della partita anche Casa Pound che, correndo come sempre per conto proprio, ha candidato Stefano Faljani, avvocato quarantasettenne di Alba Adriatica.
Quanto al centrodestra, la situazione è sempre stata, sin dall’inizio, molto caotica e tormentata, nella coalizione. Inizialmente, e anzi per molti mesi, si era parlato di una clamorosa scissione, con il coordinatore regionale e deputato della Lega, Giuseppe Bellachioma, che aveva annunciato la corsa in solitario del Carroccio alle elezioni. Una cena ad Arcore tra Salvini, Berlusconi e la Meloni aveva però riportato un barlume di serenità nella coalizione: il centrodestra, quindi, si presenta unito, ma in apparenza. Alla luce dell’accordo tra i tre leader, è stata Fratelli d’Italia a scegliere il candidato e, dopo una lunga trattativa sul nome, la scelta è ricaduta sul senatore Marco Marsilio.
L’ex deputato di Forza Italia, Fabrizio Di Stefano, aveva, però, a quel punto, annunciato la sua candidatura, sostenuta dalle liste Civiche per l’Abruzzo, Azione Politica e Avanti Abruzzo. Una scelta questa che ha aumentato il sostanziale caos che regna, ormai da tempo, nel centrodestra abruzzese. Ma anche se, alla fine, Di Stefano ha ritirato la candidatura, un caos improvviso è scoppiato proprio oggi, cioè il giorno della presentazione delle liste. L’Udc, infatti, - con una mossa di ‘capacità democristiana’ di altri tempi - ha inserito tre nomi non graditi motivo per cui il candidato di centrodestra alla presidenza, Marsilio, ha subito dichiarato che l’Udc non fa parte della coalizione di centrodestra.
“E’ stata tradita la parola data e la fiducia riposta” dice, appunto, il candidato alla presidenza della Regione, Marco Marsilio, commentando le candidature dell’ultimo minuto che hanno spiazzato la coalizione di centrodestra. Una di queste e' quella del sindaco di Prezza, Marianna Scoccia moglie dell’ex assessore alle aree interne della giunta D'Alfonso, Andrea Gerosolimo, che è stata inserita all'ultimo momento al posto del presidente del Consorzio di Bonifica “Aterno Valle del Sagittario”, Ernesto Zuffada. “Apprendo con stupore e rabbia che nelle liste dell’Udc sono stati i candidati Scoccia e Olivieri, nonostante il fatto che i partiti della coalizione di centrodestra avessero posto un veto politico sono loro presenza. I dirigenti dell’Udc avevano dato la loro parola sul fatto che avrebbero rispettato le indicazioni della coalizione e come candidato presidente designato dal centrodestra mi ero fatto veramente di tale accordo”, afferma Marsilio. “Prendo atto che e' stata tradita la parola data e la fiducia riposta, che qualcuno ha voluto fare un grave e stupida forzatura che non può che portare, come conseguenza inevitabile, l'esclusione dell’Udc dalla coalizione della futura maggioranza in Consiglio Regionale. Il tempo dei sotterfugi, degli imbrogli e dei trasformismi deve finire. Mi dispiace che tanti candidati in buona fede dell’Udc e rispettabili esponenti di diversi movimenti che compongono la lista dell'Udc, partire dal movimento “Idea” di Gaetano Quagliariello (il quale si dice, infatti, “non informato” del presunto blitz, ndr.), siamo rimasti coinvolti in questo deprecabile giochino a causa di qualche irresponsabile”, chiosa Marsilio. Ma questo punto si apre un quesito, cioè come sarà possibile escludere l’Udc dalla maggioranza, a liste, ormai, già presentate e depositate in Corte d’Appello.
“Piccolo particolare – nota, giustamente, Monica Macchioni, esperta comunicatore politico e a capo della Macchioni comunications - Marsilio ha firmato i moduli in bianco? Senza vedere i nomi? Anche perché i nomi della discordia sono a tutti gli effetti candidati del centrodestra quindi, qualora venissero ad eletti – come, ad esempio, Marianna Scoccia (moglie dell’assessore di centrosinistra uscente Andrea Gerosolimo, e perciò pietra dello scandalo), o Olivieri, consigliere regionale uscente del centrosinistra, cosa accadrà? Marsilio, avendo fatto un comunicato stampa in cui dice che l’Udc è fuori dalla coalizione si troverebbe con due consiglieri in meno o si rimangerà il comunicato?”.
Una cosa è certa. A prescindere da come finirà la querelle, dentro il centrodestra, tra Marsilio da una parte e l’Udc – discretamente forte, in Regione – dall’altra, le chanches di un centrosinistra in risalita, grazie al nome di Legnini, salgono improvvisamente, anche perché l’M5S, non solo per le scelte nazionali, ma anche per lo scarso peso locale, sembra essere davvero fermo al palo. Il 10 febbraio si vedrà dunque se il centrodestra vincerà lo stesso, nonostante i tanti dissidi interni, o Legnini riuscirà a ribaltare i sondaggi.
5. Come si vota in Abruzzo.
Quello abruzzese è un sistema elettorale proporzionale, con soglia di sbarramento al 4% per le liste non coalizzate e del 2% per quelle invece inserite all’interno di una coalizione.
Non è previsto il ballottaggio e alle elezioni viene eletto chi, tra i candidati, prenderà anche un solo voto in più degli altri. In base al numero dei voti ottenuti, al governatore eletto sono attribuiti tra il 60% e il 65% del numero dei seggi disponibili.
In extremis si era vagliata la possibilità di modificare la legge elettorale, con la soglia di sbarramento che sarebbe diventata dell’8% per le liste non coalizzate e del 3% per quelle presenti nelle coalizioni, ma non se n’è fatto più nulla.
L’elettore, dunque, può esprimere il proprio voto sia per il candidato alla Presidenza della Regione che per una qualunque delle liste circoscrizionali collegata al candidato presidente. E’ possibile esprimere uno o due voti di preferenza. Nel caso di espressione di due preferenze, devono riguardare candidati di sesso diverso ma della stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza.
Il voto espresso per una delle liste circoscrizionali è contestualmente assegnato alla lista votata e al candidato presidente al quale la stessa è collegata. Il voto espresso per il solo candidato Presidente è attribuito al solo Presidente. Il voto espresso per più liste collegate allo stesso candidato Presidente è attribuito al solo candidato Presidente.
La preferenza espressa per uno o due candidati appartenenti alla stessa lista comporta l’automatica attribuzione del voto anche alla lista circoscrizionale e al candidato Presidente.
Non è ammesso il voto disgiunto: il voto espresso per un candidato Presidente e per una lista diversa da quelle a lui collegate è nullo. Anche il voto espresso per più liste collegate a più candidati Presidente diversi è nullo.
di Ettore Maria Colombo
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