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Lenta fine della cultura radical chic a Capalbio come altrove




Tempi duri per i radical chic che ormai resistono soltanto in semidimenticati paesi della provincia italica.


Uno di questi, ma non è il solo, è forse soltanto il più rinomato, è Capalbio. Il rituale luogo di ritrovo dell’intellighenzia marittima estiva di sinistra, tra infradito e tuniche etniche, dove la tanto vantata “cultura” è sempre più assente e resta soltanto l’abitudine a un ostentato atteggiamento del desiderio d’essere aristocratici e non meramente borghesi.


Quindi ormai soltanto il potere economico, il conto in banca è la “conditio sine qua non” per accedere a questo gotha della “cultura” sempre meno “kulturkampf” e sempre più con il mignolino alzato nel sorseggiare il cocktail di moda dell’estate.


Privilegi autistici e autoreferenziali di un micromondo agli sgoccioli. Capalbio è solo quello che è emerso dalle cronache mondane dei comunicati stampa emessi ad hoc da una certa sinistra che vorrebbe tanto essere destra ma le mancano i presupposti etici, storici e anche intellettuali per poterlo fare. Radical chic in odore di veganesimo, con una spolverata di new age che ci sta sempre bene.


Minimalismo ostentato, pauperismo da primo millennio e libri mai letti ben in vista a fianco della sdraio affacciata sul tramonto. Libri con un vago sentore di snobismo, lontani da ogni altro, scritti per pochi e letti, forse, da ancor meno ma osannati in tributi per gli eletti lettori. Editori da sempre dichiarantisi di sinistra, curatori di collane e curatrici con collane, nipoti e figli degli stessi, pronti a tessere gli elogi del nuovo, grandissimo, straordinario scrittore appena scoperto, ma altrettanto distanti dal leggere qualcosa che non sia autoprodotto per le librerie di circuito.


La noia di una vita radical chic, costretta a soggiacere a rituali divenuti sempre più ripetitivi e privi di appeal, che un tempo creavano record di vendite editoriali o cinematografiche o anche teatrali, tra gli osanna del loro stesso autarchico popolo, oggi sta scivolando sempre più verso una “zona morta”, in un “fading to gray”, un lento, agoniizzante e intristente crepuscolo dove la cultura non appartiene più, solo ed esclusivamente alla sinistra.


Ce ne faremo una ragione.



DPF

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