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Libertà di stampa - Lucarella: Un gap che incide su sviluppo e occupazione


Il 17 dicembre 1993, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha scelto il 3 maggio come Giornata Mondiale della Libertà di Stampa.


Tuttavia, tra giornalisti minacciati, altri intercettati, querele bavaglio e altri mezzi intimidatori, oggi la categoria in Italia non può dirsi pienamente libera. Tanto che nel nostro Paese, 41esimo nel mondo e ultimo in Europa per libertà di stampa, oggi venti giornalisti sono sotto scorta, mentre in Europa sono oltre 400 quelli che hanno dovuto fare ricorso al meccanismo dell’Ue per la protezione dei difensori dei diritti umani. Resteranno purtroppo eterni i sacrifici di colleghi come Giancarlo Siani, ucciso giovanissimo dalla camorra. E se allarghiamo lo sguardo, non possiamo non pensare ai recenti casi di Daphne Caruana Galizia e di Jamal Kashoggi.


Ne abbiamo parlato con Angelo Lucarella, pugliese di Martina Franca, scrittore, avvocato, esperto e acuto osservatore delle vicende politiche e di attualità.



#Lucarella, che vuol dire 41esimo posto al mondo per libertà di stampa?

Vuol dire avere un gap sia sul fronte economico che culturale e giuridico. Sul lato economico, la conclusione è presto detta: incide sulle possibilità di sviluppo e di occupazione. Sul fronte giuridico, questo mostra che c’è tanta strada da fare per raggiungere i parametri e le cornici sul fronte eurounitario e su quello dei principi inviolabili dell’uomo. Su tutti, la libertà di espressione, garantita dalla Costituzione, dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.


Quali passi, concretamente, possono essere fatti per migliorare questi numeri?

Di sicuro si può pensare di coinvolgere il mondo giornalistico e culturale quale parte attiva dei processi di riforma, bilanciando le richieste con ciò che in termini giuridici viene definito “concretamente possibile”. Quindi, ad esempio, in fase di audizione, le commissioni parlamentari potrebbero richiedere l’intervento di esperti del settore. Si tratta però di azioni che lasciano il tempo che trovano se il Parlamento stesso non agevola il percorso delle commissioni.


Venti giornalisti sotto scorta solo in Italia. Numeri che fanno venire i brividi. Come se ne esce?

Innanzitutto c’è necessità di una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica, di un maggiore coinvolgimento. Poi si può dire che se il settore merita un processo di riforma, dev’essere certamente nell’ottica di bilanciare le cose, non di sbilanciarle. Mi riferisco a norme soprattutto del sistema penale (come la 596 bis, che prevede la responsabilità del direttore) su cui si può lavorare e intervenire: se il giornalista, che ha la propria libertà di pensiero, si assume la responsabilità di ciò che scrive, si potrebbe pensare di non coinvolgere il direttore della testata, che, pur pubblicando il pezzo, teoricamente potrebbe essere anche all’oscuro di un’inchiesta che il giornalista stesso sta portando avanti.


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